Il 15 gennaio 2016 è stata presentata in Italia la nuova fotocamera professionale del sistema Fuji: dopo 4 anni di onorata carriera, la X-Pro 2 ha sostituito la X-Pro 1, prima mirrorless della serie X, un sistema divenuto in questi anni sempre più completo e ricco di eccellenti ottiche.

FUJI X-PRO 2

FUJI X-PRO 2

Un piccolo riepilogo delle caratteristiche tecniche:

  • Sensore da 24MP X-Trans CMOS III (formato APS-C).
  • 273 punti di messa a fuoco di cui 77 a rilevamento di fase.
  • Mirino ibrido, 36M-dot OLED ed ottico.
  • Sensibilità ISO 200-12800 espandibile fino a 100-51200.
  • Velocità otturatore fino a 1/8000 (1/32000 con otturatore elettronico).
  • Simulazione di varie pellicole di casa Fuji, con introduzione della nuova Acros (un ottimo BN).
  • Doppia slot per memory card SD.
  • Video recording in Full HD a 60fps.

 

L’X-Pro2 ha un affascinante fascino retrò (ricorda le vecchie Leica a pellicola) e linee essenziali e pulite, si impugna con facilità e sicurezza.
Anche per chi ha mani grandi, tutto è a facilmente e velocemente configurabile.

FUJI X-PRO 2 TOP

FUJI X-PRO 2 TOP

Venendo da X-E2 e X-T1, la caratteristica che immediatamente e favorevolmente mi ha colpito è il nuovo joystick per il punto AF a portata di pollice sul retro, che consente la gestione della messa a fuoco automatica, che conta su 273 punti di messa a fuoco, di cui 77 a rilevamento di fase (l’impostazione che uso io, 273 sono decisamente troppi nella stragrande maggioranza dei casi).

Fuji avrebbe dovuto pensarci prima: il joystick è comodissimo e di impressionante velocità!

FUJI X-PRO 2 BACK

FUJI X-PRO 2 BACK

Altra novità è il mirino ibrido, ovvero la possibilità di scegliere mediante una comoda levetta a fianco dell’obiettivo tra la soluzione ottica e quella elettronica. La prima permette di monitorare quello che accade anche attorno all’inquadratura vera e propria, ed è molto comoda in situazioni dinamiche (foto street, per esempio).

FUJI X-PRO 2 VIEWFINDER

FUJI X-PRO 2 VIEWFINDER

Il mirino elettronico è eccellente, in linea con quello della X-T1, con alta risoluzione ed elevato refresh rate. Tutte le info si possono mettere a mirino ed avere la situazione completamente sotto occhio.

 

I dati tecnici completi si possono trovare con facilità in rete.

 

Quello che vorrei trasmettervi sono le mie impressioni d’uso.

Ho avuto modo di utilizzare l’X-Pro 2 qualche giorno fa sulla splendida e coloratissima isola di Burano. L’ho affiancata al nuovo 90mm f/2, ottica notevole ed incisissima già a tutta apertura, probabilmente ad oggi la migliore di tutto l’ampio corredo Fuji.

FUJI X-PRO 2 + 90MM F/2

FUJI X-PRO 2 + 90MM F/2

L’X-Pro 2 pesa molto meno di una reflex, le lenti Fuji, pur dando impressione di grande robustezza e qualità, doti che confermo, sono molto leggere. Con un corredo Fuji si può fotografare tutto il giorno senza affaticarsi e senza trasportare sulla schiena i chili e chili di un equivalente corredo reflex. Certo, la reflex è ancora insostituibile per alcune tipologie di scatti (paesaggio, sport, animali), ma per foto street e reportage l’X-Pro 2 con le sue lenti è assolutamente fantastica.

Non ho esplorato le caratteristiche video della fotocamera, quindi non mi pronuncio al riguardo, anche se ritengo che non sia una fotocamera con particolari vocazioni cinematografiche.

 

Vediamo quindi a quali sono i sui pregi, senza trascurare quelli che ritengo essere i suoi difetti.

 

Pregi:

  • Qualità dell’immagine eccellente, sia scattando direttamente in jpg, ma soprattutto scattando in formato raw. I raw sono molto buoni, dettagliati e lavorabilissimi. Ottima la gamma dinamica.
  • Tenuta degli ISO ottima fino a 1600 (oltre questo valore non scatto comunque praticamente mai).
  • Mirino ibrido fantastico.
  • Buon AF, reattivo e superiore a quello della X-T1 in velocità e precisione.
  • Il già citato joystick per la scelta del punto di messa a fuoco, velocissimo e comodissimo.
  • Il doppio slot, che permette di scattare i raw su una SD ed i jpg sull’altra, oppure di fare il Backup automatico o infine di scattare in continuità da una scheda all’altra.
  • Design retrò molto accattivante e gradevole.
  • Correzione dell’esposizione fino a +/- 3 EV (estendibile a 5).

 

Difetti:

  • Il sistema “pull-up” di settaggio degli ISO sollevando la ghiera dei tempi di scatto non è particolarmente comodo.
  • La durata della batteria è inferiore a quella delle altre serie X, che già non eccellevano in questo. Non è un grosso difetto, basta mettersi in tasca una batteria di scorta.
  • La rotellina della correzione diottrica si sposta facilmente mettendo la macchina in borsa.
  • Qualche pastosità nella resa del fogliame e di altre trame in lontananza, ma non è certo quello paesaggistico il campo di riferimento per questa fotocamera.
  • Il costo, un po’ troppo elevato, ma calerà rapidamente.

 

Conclusioni:

L’X-Pro 2, in un corpo compatto il giusto, cioè non troppo piccolo, né troppo grande, racchiude caratteristiche tecniche da fotocamera professionale.
Le immagini che escono dal nuovo sensore sono ricche di dettaglio e rappresentano in modo corretto i colori reali della scena ripresa. È il terminale di un sistema completo e di grande qualità, perfetto per immagini street e di reportage ed ogni volta che si voglia uscire senza portarsi dietro il peso di un corredo reflex, ma si voglia portare a casa comunque immagini di grande qualità.

BuranoXPRO2

BuranoXPRO2II

BuranoXPRO2III

BuranoXPRO2VI

BuranoXPRO2IV

BuranoXPRO2V

BuranoXPRO2VII

Burano Abstract © Luigino Snidero

Burano Abstract © Luigino Snidero

Il 9 aprile, ospiti del Circolo Fotografico Palmarino e di Proloco Manzano, Jacqueline De Monte e Valentino Morgante ci hanno presentato, nella suggestiva cornice dell’Abbazia di Rosazzo, il loro splendido libro fotografico “Terra d’Africa”.

12540950_952712104778253_2416268488050656600_n

Come al solito, i fotografi sono stati intervistati dal nostro Paolo Vercesi:

 

Jacqueline De Monte

Jacqueline De Monte

Valentino Morgante (e Daniele Marson)

Valentino Morgante (e l’editore Daniele Marson)

Paolo Vercesi

Paolo Vercesi

 

 

 

 

 

 

 

Paolo Vercesi: Buonasera Jacqueline, buonasera Valentino e buonasera Daniele (Daniele Marson editore ndr)

Da un po’ di tempo è nostra abitudine intervistare gli ospiti delle nostre serate, siete pronti?

 

Jacqueline De Monte: Siamo pronti!

 

PV: Incominciamo dalla prima domanda, una di quelle facili, siete entrambi di origini friulane ma Jacqueline è nata a Parigi mentre Valentino è nato in Malawi, come vi siete incontrati? Come si sono incrociate le vostre vite?

 

Valentino Morgante: A questa domanda preferisco lasciar rispondere Jacqueline…

 

JDM: Innanzitutto mio papà e mia mamma sono di Artegna, il papà e la mamma di Valentino sono di Tarcento e ci siamo incontrati a metà strada. Tra Tarcento e, diciamo, Artegna, durante una sua vacanza. Ci siamo accorti di avere qualcosa in comune, cioè guardare le montagne, ma arrivare con lo sguardo ben oltre le montagne. Lui mi affascinava con i suoi racconti, che per me erano incredibili… mi parlava dei leoni, che da ragazzino teneva un serpente nel taschino, di grandi foreste… per me, che vivevo a Tarcento, erano racconti molto coinvolgenti. È  da lì, tra un racconto e l’altro, che è nata la mia voglia di vedere l’Africa.

 

VM: Era una semplice strategia di conquista… (risate, ndr)

TerradAfricaXIV

Un momento dell’intervista

PV: La passione per la fotografia, invece, com’è nata?

 

VM: Beh, io ho sempre avuto la passione per la fotografia fin da bambino in Africa. Tutto è partito quando i miei genitori mi hanno regalato una piccola compatta a pellicola, si parla di davvero tanto tempo fa, e da lì, tra animali e paesaggi, mi sono appassionato. In particolare, della fotografia, mi affascina il movimento. Quando sono tornato in Italia ho collaborato con un’agenzia di Bologna che seguiva le automobili da corsa e ogni settimana ero in trasferta per fotografare le gare. Ma la passione vera era per la natura. E dopo un paio di viaggi assieme in Africa, ho coinvolto anche Jacqueline in questa passione.

 

PV: la decisione di trasferirvi in Africa com’è arrivata?

 

JDM: certamente per una donna staccarsi da tutte le sicurezze che può dare un paese come l’Italia, con una casa, i genitori, un lavoro… è difficile decidere e partire, ma Valentino aveva veramente un grandissimo mal d’Africa. Chiuso dentro il suo ufficio sembrava un leone che  girava in tondo nervoso e che sperava che la gabbia si aprisse. Solo io avevo la chiave. Ho aperto la gabbia e siamo partiti.

TerradAfricaXI

Un momento dell’intervista

PV: quindi per voi l’Africa era più di un posto dove andare a lavorare.

 

VM: sì, è il posto dove ci piace vivere e dove vogliamo condividere il nostro stile di vita con le persone che vengono da noi. Questa è diventata la nostra missione.

 

PV: Raccontateci qualcosa di più del vostro lavoro. Siete guide certificate dell’NATH, Namibiam Academy for Tourism and Hospitality, come ci siete arrivati?

 

VM: come in tutte le professioni bisogna studiare ed imparare. Per ottenere una licenza occorre frequentare dei corsi, in questo caso dell’ente del turismo della Namibia. Flora, fauna, geologia, astronomia, tutto ciò che aiuta a conoscere l’ambiente… abbiamo imparato tante cose da poter condividere con gli altri. E continuiamo a seguire nuovi corsi per aggiornarci e per rinfrescare le conoscenze.

 

JDM: L’ultimo corso l’abbiamo fatto in Botswana, ed è stato uno dei corsi per guide naturalistiche più difficili in assoluto.

 

PV: Il vostro lavoro come si svolge?

 

VM: Abbiamo iniziato facendo da guida naturalistica per le varie agenzie, poi pian piano abbiamo iniziato ad organizzare da soli i nostri viaggi. Li organizziamo per piccoli gruppi, quindi sono viaggi personalizzati, per coppie, per appassionati di natura e fotografia. Noi organizziamo tutto il pacchetto ed in genere facciamo anche da guide e da accompagnatori.

TerradAfrica_pag48-49

© De Monte Morgante

JDM: …cercando sempre di coinvolgere tutti con la nostra conoscenza e la nostra passione per quei posti. L’Africa non è solamente da vedere ma anche da conoscere. Infatti chi non ci va con una guida specializzata ed appassionata si ferma alla conchiglia, noi cerchiamo di far vedere la perla che c’è dentro la conchiglia. Questo è il nostro obiettivo.

 

PV: Prima ci parlavate di leoni, di serpenti e di situazioni che a noi sembrano pericolose. L’Africa è pericolosa o no?

 

VM: L’Africa è come una grande metropoli, prendiamo ad esempio Milano, ci sono zone pericolose, ma la maggior parte di Milano non è pericolosa, l’Africa è proprio così. Ci sono dei posti pericolosi e quello che vi succede viene amplificato dai media, ma ci sono comunque zone dell’Africa tranquille e sicure, come quelle dove ci troviamo e lavoriamo noi e dove troviamo sempre una serenità ed una tranquillità incredibili.

 

PV: Vi è capitata qualche avventura da raccontare?

 

VM: A novembre eravamo in Botswana, nel 2015 c’è stata una grandissima siccità nell’Africa australe, con una totale mancanza d’acqua. Ci trovavamo nella regione del Savuti, un’area dove gli anni prima c’era acqua e dove vivono gli ippopotami. Abbiamo trovato un ippopotamo molto disidratato vicino ad una pozza asciutta, edad un certo punto ci ha caricati di brutto. Sono riuscito appena in tempo ad inserire la marcia e partire, me lo sono trovato a 50cm. L’impatto sarebbe stato come uno sconto con un’automobile di 2 tonnellate.
Altre volte nei campeggi abbiamo avuto i leoni a farci “visita”, tante volte abbiamo visto le cariche degli elefanti. Con l’esperienza si impara a leggere e capire le situazioni, ed un tempo fuggivamo via molto prima.

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

JDM: …infatti l’ultima volta gli elefanti del Damaraland erano così vicini che un giovane di circa 12 anni ha “annusato” l’automobile e con la zanna ha spinto un pochino e la carrozzeria ne porta ancora i segni.

 

VM: In generale direi che non ci è mai successo di trovarci in situazioni di vero pericolo… forse l’unica volta in cui mi sono trovato in pericolo è facendo canoa nel fiume Zambesi in mezzo agli ippopotami. L’ippopotamo è l’animale che causa più morti in Africa, perché pur essendo un erbivoro è molto territoriale.

 

PV: Questa sera siamo qua per presentare il vostro libro che vanta una prefazione di Alberto Angela, paleontologo, divulgatore, scrittore, giornalista e conduttore di trasmissioni televisive, come nasce questa prefazione?

Un momento della serata

Un momento della serata

JDM: Ho accompagnato Alberto per la RAI per tre volte, e questo ci ha dato la possibilità di conoscerci. Alberto  ritiene che il viaggio che ha fatto con me in Namibia sia stato il suo più bello in Africa proprio perché sono riuscita a trasmettergli la conoscenza e la passione che ho per l’Africa e per la natura. Di conseguenza anche nel suo quarto viaggio, che ha voluto fare privatamente con famiglia e amici, ha voluto trasmettere ai figli le stesse emozioni che aveva provato. In qualche modo è stato come se Alberto Angela avesse avuto il desiderio di ricambiare quello che aveva ricevuto. Forse è stata lui la persona che più ci ha spinti a realizzare il libro, aveva visto queste fotografie e ci ha detto che meritavano di venire pubblicate.

 

PV: Questo libro raccoglie fotografie scattate nell’arco di ben 20 anni. Se non arrivava Alberto Angela avreste pubblicato lo stesso il libro, oppure avreste aspettato ancora un po’?

 

VM: Penso che i tempi fossero maturi, o adesso o mai più! Quando abbiamo cominciato a scattare, si utilizzavano ancora le diapositive ed ad un certo punto ci siamo fermati per diversi anni. Il digitale in qualche modo è stato la nostra salvezza e ci ha spinti a ritornare a fotografare.

 

(proiezione della multivisione "Terra d'Africa")

 

PV: Nella vostra multivisione “Terra d’Africa” quante foto analogiche avete usato?

 

VM: Sono molto poche le foto scansionate dalle diapositive, forse un 5%.

 

(pubblico): Qual è stata la foto più difficile che avete realizzato durante la vostra carriera di fotografi?

 

VM: La foto più difficile la dobbiamo ancora scattare, proprio perché è veramente difficile… il mio sogno è sempre quello di fotografare due grandi elefanti maschi in combattimento.

 

(pubblico): c’è una foto che vi ha fatto dire: “accidenti ce l’ho fatta!”

 

VM: Ci sono tante foto che che quando torni a casa e le riguardi ti fanno dire “WOW”!
La mia grande passione, come ormai avrete capito, sono gli elefanti ed i leoni. E credo siano proprio loro gli animali che mi hanno dato più soddisfazioni.

 

Daniele Marson: Forse la foto più diffile è quella che abbiamo raccontato anche nel libro…

 

VM: …sì, volevamo fotografare il passaggio degli elefanti da una prospettiva diversa. Quindi abbiamo deciso di piazzare una macchina fotografica nella zona di passaggio e di telecomandarla. Gli elefanti generalmente usano dei sentieri specifici, e così siamo riusciti a fare alcune foto con il telecomando, un paio abbastanza belle. Solo che ad un certo punto una famiglia di 6-7 elefanti ha visto la macchina fotografica e non gli è piaciuta… la matriarca l’ha puntata e le ha dato un calcio facendo volare via tutto quanto. È stato incredibile vedere una tale violenza ed aggressività verso una cosa così minuscolo al loro confronto. Forse hanno sentito l’odore, l’adrenalina dell’uomo o qualcosa sulla macchina e che solo loro possono sentire. Alla fine siamo comunque riusciti a recuperare la macchina e scaricare le foto. Aggiungo che abbiamo continuato ad usare quella stessa macchina per altri due anni!

 

JDM: …ma non l’obiettivo!

 

VM: La salvezza della macchina è stata l’obiettivo che si è staccato dalla macchina ed ha attratto gli elefanti. C’era tanto rumore e tanta polvere, è stata veramente una scena pazzesca.

 

(pubblico): Quel paesaggio desolati con quegli alberi secchi…

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

JDM: Gli alberi nel lago bianco sono nell’area “Dead Valley” detta anche “bacino morto”, si pensa che quegli alberi siano morti 700 anni fa, ma sono ancora in piedi.

 

VM: Sono di un legno molto duro e resistente.

 

JDM: Nel deserto ci sono pochissimi batteri e gli alberi non si decompongono.

 

(pubblico): Le foto non sono state fatte tutte dalla jeep?

 

VM: Quando siamo fuori da soli valutiamo sempre la situazione e talvolta ci piace scendere a livello del terreno, ma sempre mantenendo la distanza di sicurezza.

 

(pubblico): Il periodo migliore per venire in Namibia?

 

VM: Sicuramente da maggio a dicembre, ma non è detto che non sia bello anche il periodo delle piogge, ma è sicuramente più a rischio per la pioggia e gli animali si vedono un po’ di meno.

 

(pubblico): Dove avvengono le fioriture che abbiamo visto nel filmato?

 

VM: Quelle fioriture avvengono in una zona particolare del Sudafrica, a sud della Namibia, a nord-ovest di Città del Capo, particolarmente piovosa d’inverno, quindi in primavera ed in estate c’è questa famosa fioritura, chiamata fioritura del Namaqualand.

 

PV: In sala c’è un gran numero di fotografi, ci raccontate qualcosa di tecnico, cosa c’è nella vostra borsa, che strumenti usate, cosa non lasciate mai a casa.

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

VM: Abbiamo tre corpi macchina, non so se si può dire la marca, portiamo sempre un grandangolo 17-40, lo zoom 70-200/2.8, il nuovo 100-400 della …Canon (risate, ndr) …che funziona benissimo, poi il 300/2.8, mentre altri obiettivi più costosi, quando servono si possono trovare in affitto.

 

JDM: Poi non mancano mai il treppiede, il telecomando ed il timer per fare i timelapse che avete visto nella multivisione.

 

VM: Non si può fare a meno di un coprimacchina per tener fuori la polvere: dove viviamo noi in Namibia è pieno di polvere e bisogna sempre stare molto attenti in special modo durante il cambio obiettivi.

JDM: Basta un soffio di vento e viene fuori anche polvere che non vedi.

 

DM: Con la pulizia del sensore come fate?

 

VM: Portiamo via due o tre corpi macchina proprio per cercare di cambiare obiettivo il meno possibile. Poi quando veniamo in Italia oppure quando andiamo a Città del Capo ci sono dei centri che fanno la pulizia dei sensori. Ormai abbiamo imparato una buona tecnica e cambiamo obiettivo solamente quando ci sono delle scene veramente importanti o drammatiche ed il problema della polvere passa in secondo piano. Altrimenti cerchiamo di evitare di farlo.

 

PV: A parte l’attrezzatura fotografica cosa serve per venire a fotografare in Africa? Cosa bisogna portarsi da casa?

 

JDM: Il cuore. Il cuore aperto, non aspettarsi mai nulla, non darsi degli obiettivi, altrimenti c’è il rischio di rimanere delusi. È meglio essere aperti a quello che l’Africa e la natura ci regaleranno in quei momenti.

 

VM: Poi di base con una buona reflex e con una buona compatta si possono portare a casa dei buoni risultati: Poi di fatto si può utilizzare di tutto, dal grandangolo al 300mm.

 

(pubblico): In questi venti anni di fotografie immagino che i cambiamenti siano stati grandi come da noi. I paesaggi sono rimasti gli stessi o sono cambiati?

VM: Devo dire che certi posti sono rimasti sempre uguali, altri invece sono cambiati, soprattutto nelle zone più popolate. Ma dove ci sono gli animali e nei parchi i paesaggi non sono poi cambiati di tanto. Magari ci sono più visitatori, ma a parte quello il resto è rimasto inalterato, equesta è una grossa fortuna.

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

(pubblico): ci sono grossi problemi di bracconaggio anche in Namibia?

 

VM: La Namibia da questo punto di vista è fortunata perché la popolazione non è numerosa ed i controlli sono molto buoni, come del resto in Botswana, però purtroppo negli ultimi 5 anni anche in Namibia c’è stato un certo aumento del bracconaggio. In precedenza direi ceh era invece tutto sotto controllo

 

JDM: …quasi inesistente, poi si è scatenato a macchia d’olio

 

VM: Per fortuna sembra che ultimamente le cose stiano migliorando di nuovo.

 

JDM: Le autorità coinvolgono anche noi guide nel contrasto al bracconaggio.

 

(una bambina del pubblico): è difficile venire in Africa?

 

VM: Quando ci siamo trasferiti in Namibia, abbiamo portato nostra figlia di 12 anni che non sapeva una parola di inglese, ma si è trovata benissimo ed è rimasta in Africa. Se riesci a trovare il posto giusto, l’Africa è assolutamente avvincente.

 

JDM: Tutti quegli animali sono belli da vedere per i bambini. La Namibia ed il Botswana stanno orientando la loro ospitalità sempre più verso le famiglie perché vedono che i bambini rispondono molto bene al richiamo dei luoghi. è assolutamente un viaggio fattibile anche per i bambini. Abbiamo avuto nei nostri viaggi bambini dai 5 anni in su. Ci sono alcune aree del Botswana in cui raccomandano un’età superiore ai 10 anni, perché è un’area dove bisogna avere qualche attenzione in più.

 

PV: Facciamo un piccolo passo indietro… mi riaggancio all’introduzione di Gastone Piasentin (presidente della pro loco di Manzano, ndr): la fotografia può avere un ruolo, può aiutare a fermare la guerra e le altre distruzioni?

 

VM: Questa è la nostra speranza! La fotografia può documentare quanto è bello quello che rischiamo di perdere e quindi penso proprio di sì.

 

JDM: L’educazione alla conoscenza è la soluzione a tutti i problemi, dal bracconaggio alla conservazione in tutti i sensi e di tutto il pianeta.

 

PV: Abbiamo visto nelle vostre immagini tanti luoghi, tanti paesaggi e tanti animali. Se una persona potesse andare in Africa una sola volta nella vita, che itinerario suggerireste?

 

JDM: è impossibile rispondere, è come chiedere cosa visitare in Italia… in Africa dove le distanze sono molto più grandi, non sarebbe possibile visitare i gorilla, le dune di Sossusvalley e le cascate Vittoria in una volta sola.

 

VM: Suggerirei comunque di visitare la Namibia per prima.

 

(pubblico): Con che veicoli vi muovete?

 

VM: In Namibia ci si muove anche con dei pulmini o con dei 4×4 con doppio serbatoio e doppia ruota di scorta. Però, a parte certe zone montane, in Namibia è possibile muoversi anche senza 4×4. In Botswana, invece, è assolutamente indispensabile il 4×4.

 

(pubblico): Come mai tra quelle che abbiamo visto non avete inserito le bellissime foto della popolazione degli Himba?

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

VM: Perché abbiamo scelto di mantenerci sulla natura, magari la prossima volta…

 

(pubblico): Guardando la copertina di libro, l’Africa mi sembra un cuore, lei come descriverebbe il suo mal d’Africa.

 

JDM: Il mio mal d’Africa è molto particolare e credo interessante. Durante i miei primi anni in Africa non “soffrivo” assolutamente il mal d’Africa. Anzi ho trovato talmente dura la vita dell’emigrante, con molti lati negativi e pochi positivi, che all’inizio il mal d’Africa non ce l’avevo proprio. Un giorno però ho rischiato di non poterci andare più ed è stato in quel momento che ho capito che l’Africa mi mancava. E questo è accaduto solo dopo una decina d’anni che vivevo in Africa.

 

(pubblico): I tour che proponete hanno base fissa o proponete degli spostamenti lungo degli itinerari.

VM: Molte volte ci si ferma in strutture o lodge, ma in un tour di 14 giorni si fanno anche 4000Km e in zone remote dove non ci sono strutture si allestiscono i campi tendati.

 

(pubblico): Chi fa da mangiare, in quelle situazioni?

 

VM: Mi! (risate, ndr) …è bellissimo fare il fuoco nel campo, e quando non sono recintati ci sono scimmie, sciacalli, iene, leoni, elefanti e bisogna tenere tutto il cibo fuori dalla tenda. Ho visto filmati di elefanti in Botswana che hanno distrutto una tenda alla ricerca di mele e arance.

 

(pubblico): Siete armati?

 

VM: No, assolutamente no, siamo armati solo del nostro animo.

 

JDM: Diciamo che quello che conta è la nostra l’esperienza: dopo tanti anni si riesce a percepire quali sono le distanze a cui tenersi dagli animali e si rimane a distanza di sicurezza per sé stessi e per gli animali.

 

PV: Quando tornate in Friuli portate solo le fotografie o anche le macchine fotografiche?

 

VM: Purtroppo solo le fotografie per questioni di spazio.

 

JDM: Quando torniamo in Africa sentiamo una grande mancanza del cibo friuliano e italiano, lo spazio di una macchina fotografia lo destiniamo ad un po’ di cibo, formaggio e salami.

 

PV: Quindi al campo si mangia il frico?

 

JDM: Può capitare che lo facciamo perfino con il ceddar (risate, ndr).

 

PV: Qualche progetto fotografico per il futuro?

 

VM: Di progetti ne abbiamo e vanno tutti avanti, ma nulla ancora di definito. Ci piacerebbe fare altre multivisioni ed una mostra con stampe di una certa dimensione.

 

JDM: Una fotografia in grande formato permette veramente di catapultarcisi dentro.

 

PV: Siamo purtroppo giunti a conclusione della serata…

 

JDM: Ringraziamo tutti voi singolarmente per essere stati presenti a questa serata e spero che siamo riusciti a regalarvi una parte di noi… (grandi applausi, ndr)

 

Il pubblico in sala

Il pubblico in sala

 

 

Terra d'Africa, Edizioni Marson

Terra d’Africa, Edizioni Marson

Alcune immagini di backstage dell'evento:
TerradAfricaI

Daniele Marson e Daniele Favret

TerradAfricaII

Paolone Vercesi alle prese con le domande dell’intervista

TerradAfricaIII

Stefano Rossi e Marco Manzini

TerradAfricaIIIb

Marco, Paolo, Danilo, Daniele e Ranieri

TerradAfricaIIIc

Daniele, Marco e Stefano

TerradAfricaIIId

Daniele, Mauro, Luca, Federico e (seminascosto) Andrea

TerradAfricaIV

Alvaro, Danilo, Ranieri, Ezio, Mary (seminascosta), Roberto, Paolo e Marco

TerradAfricaV

Jacqueline e Valentino firmano i libri

TerradAfricaVI

Il Presidente della Proloco, Gastone Piasentin

TerradAfricaVII

Il Vicesindaco di Manzano, Lucio Zamò

TerradAfricaX

Daniele Marson, concentratissimo

 

Lo scorso 21 Marzo, presso la sala riunioni del Palmanova Outlet Village, è stato protagonista del secondo Autofocus Alessandro “FotoCesco” Laporta, affermato fotografo naturalista (e non solo!!!).

Come ormai consuetidine, la visione delle immagini di Alessandro Laporta è stata scandita dall’intervista realizzata da Paolo Vercesi e dalle domande del Pubblico.

Ecco uno stralcio dell’intervista:

 

Paolo Vercesi: Buonasera Alessandro, benvenuto ad Autofocus #2, tutto a posto?

Alessandro Laporta: Sì, tutto bene.

P: Età:

A: Quaranta… (strizza l’occhiolino) …quattro

P: Professione?

A: Fotografo professionista.

 

© Giovanni Contessa

Alex intervistato da Paolo Vercesi, immagine © Giovanni Contessa

 

P: Alessandro Laporta, fotografo figlio d’arte, fotografo di professione, fotografo per passione. Quando lavori fotografi, nel tempo libero fotografi, quando dormi?

A: Penso a cosa fotografare l’indomani.

 

P: Come trovi il tempo per tutte queste attività fotografiche?

A: E’ tutta una questione di organizzazione.

 

P: Hai respirato fotografia fin da piccolo… raccontaci come e quando è scoccata la scintilla che ha trasformato in lavoro questa grande passione.

A: Ho cambiato diversi hobby, finito di lavorare fotografavo molte cose, ho incominciato negli anni 80 fotografando i rally, corse in salita, facendo nuove conoscenze ho cercato di evolvermi fotografando soggetti sempre più particolari…

 

P: Lavoro o passione?

A: Dopo le 19.30, quando chiudo il negozio, diventa tutto passione. Non mi pongo nessuno obiettivo e non cerco alcun ritorno, stacco la spina e cerco qualcosa di interessante da mostrare.

 

P: Per quello che ci mostri ti conosciamo come fotografo naturalista, ma stasera cerchiamo di sorprendere il pubblico facendo vedere alcuni dei tuoi lavori più inaspettati. Con cosa cominciamo?

A: Direi con qualcosa di molto diverso, che nessuno si aspetta di vedere, ma non l’ho visto neppure io. So cosa ho dato a Luigino ma non ho ancora visto il risultato.

 

Viene proiettata la multivisione “Grooving shoots”, scatti effettuati a concerti in più di un decennio.

 

P: Quanta energia in questa multivisione… quanti scatti hai dato a Luigino e quanti concerti hai fotografato?

A: Questa sera avete visto solo una piccola selezione di fotografie di concerti dal 2004 fino ai primi mesi di quest’anno.

 

P: Ci racconti qualcosa dell’esperienza di fotografo di palco?

A: Ho incominciato a fotografare tra il pubblico, dove ho conosciuto molte persone che con il passare degli anni mi sono diventate amiche, qualcuno è qui stasera, e lo saluto. E’ stata un’esperienza molto bella e divertente che mi ha permesso di girare parecchio.

 

P: C’è anche qualche amicizia artistica?

A: C’era un gruppo in particolare con cui ero molto legato, ma adesso i suoi componenti hanno preso strade diverse. Il chitarrista in particolare mi ha donato i brani che hanno accompagnato la multivisione.

 

Dal pubblico: Le foto sono state scattate dal palco?

A: Sono state scattate un po’ dappertutto, dal palco, dal pubblico, da dietro le quinte, in studio di registrazione, girando assieme alle band…

Il pubblico dell'evento

Il pubblico dell’evento – Immagine © Giovanni Contessa

 

P: Qualche aneddoto su questi numerosi viaggi e concerti?

A: Aneddoti no, però ogni volta è stata un’avventura, partire la sera alla chiusura del negozio e ritornare alle 4-5 della mattina successiva mattina per riaprire il negozio alle 8.30… Non mi sono mai tirato indietro per la stanchezza, sono sempre partito alla rock’n roll, via si parte!

 

P: Accanto a questa natura dinamica ci sono le associazioni al CFP e all’AFNI: il tuo cuore è rivolto verso la fotografia naturalistica, è così?

A: Sì è così e stasera abbiamo qui anche il rappresentante della sezione friulana dell’AFNI, Giacomo Menta, poi con la conoscenza di Luigino e con i primi amici del Circolo pian piano è nata la passione per la fotografia naturalistica.

 

P: Come si è evoluta questa passione?

A: Ho incominciato a fotografare animali all’isola della Cona, dove ho conosciuto altri fotografi. Oltre a questi, conoscevo già da prima altri appassionati, come Luciano Mattighello, che si è convertito da cacciatore a fotografo naturalista, e con lui è nata un’amicizia molto stretta. Conoscendo altri fotografi ho sempre cercato di progredire, sia nella qualità delle immagini che nella ricercatezza dei soggetti.

 

P: La foto naturalistica che ti ha dato più soddisfazioni?

A: Quella realizzata nel 2010, al Workshop con Luciano Gaudenzio, che è stata premiata al concorso di Asferico.

© Alessandro Laporta

© Alessandro Laporta

 

P: Quale, invece, deve ancora darti soddisfazioni?

A: Quelle che farò prossimamente.

 

P: Ci anticipi qualcosa?

A: Qualche foto di nuove specie, magari fotografate all’estero.

 

P: E se apriamo la tua borsa cosa troviamo dentro?

A: Di tutto… cerco di portami dietro tutto quello che serve, però c’è troppa roba. Anche stamattina, Marco “Lao” Zamò, che è uscito con me, mi ha dato una mano a portare qualcosa. Siccome non sai mai cosa puoi trovare porto via sempre tutto.

 

P: Quanti Kg?

A: Tra lo zaino, il 600mm, il capanno, etc. direi una ventina di Kg, cosa ne dici Marco?

Marco: Anche trenta…

 

P: E’ ora di vedere qualcosa di naturalistico e di molto goloso.

A: La maggior parte della sala credo stia aspettando questo.

 

P: E’ ora di “A casa di Yoghi”.

 

Viene proiettata la multivisione “A casa di Yoghi”, immagini del bosco e dei suoi abitanti.

 

© Alessandro Laporta

© Alessandro Laporta

 

P: Hai detto che ti piacerebbe girare di più all’estero, tutte queste foto dove sono state scattate?

A: Alcune sono state scattate in Germania (al Bayerischer Wald), altre sono state scattate in Slovenia, Austria e in Svizzera dove ho fotografato le nocciolaie in Engadina. La maggior parte però le ho scattate qui in Friuli.

 

P: Qualche racconto di questi viaggi?

A: Ce ne sono tanti di piccoli racconti… tante volte esci con un amico esperto, che suggerisce: “guarda che verranno da lì”… si posiziona di conseguenza il capanno e tutto il resto. Si attende il momento, al buio, in silenzio, quasi non si respira. Poi l’animale arriva dalla parte contraria, e siccome sei “capannato” non hai neppure la possibilità di girarti. Non resta che dire “E’ andata così, speriamo in meglio per la prossima volta”!

 

P: Quante volte va bene e quante volte va male?

A: L’importante è uscire! Ogni volta che va male ci metti sopra una croce. Più si esce e più si consumano le uscite “che possono andar male”, poi può sempre andar bene. Conta molto anche l’esperienza, ed a volte, anche se manca il soggetto principale, è sempre possibile trovare qualche altro spunto interessante.

 

P: Sia nelle foto di concerti, che in quelle di natura abbiamo notato una particolare attenzione per la composizione. Ci racconti qualcosa di più sul tuo modo di fotografare?

A: Mi interessano molto la composizione e la ricerca di sfondi particolari, il più possibile pittorici. Poi si porta a casa quello che si può, come nel caso degli orsi, quando c’era una nebbia talmente fitta che rendeva difficile anche il solo riconoscimento delle sagome all’interno del bosco.

 

P: Considerando le decine di migliaia di foto che scatti ogni anno, che rapporto hai con la postproduzione?

A: Dopo ogni uscita cerco di dare una prima scremata buttando via tutto quello che non è da tenere. Poi, siccome non ho molto tempo per le mie foto, queste spesso restano nell’HD fino a quando non mi servono per qualche motivo. L’importante è averle scattate e conservarle al sicuro.

 

Pubblico: Come ci si camuffa nella neve?

A: Le nocciolaie vengono vicino, non serve il capannno, basta una manciata di arachidi. Poi bisogna studiare lo sfondo ed il loro comportamento per cercare di portare a casa qualche scatto interessante.

© Alessandro Laporta

© Alessandro Laporta

 

Pubblico: Le foto degli orsi dove le hai fatte?

A: La maggior parte in Slovenia, la coppia in acqua delle ultime foto al Bayerischer Wald.

 

Pubblico: Usi tanto la regola dei terzi?

A: Sì, cerco sempre di usare una composizione non centrale, a meno che non sia obbligato.

© Giovanni Contessa

© Giovanni Contessa

Pubblico: Come fotografo sei molto bravo e spazi dai fiori agli animali, passando per il paesaggio, come riesci a mantenerti aggiornarto e competente su quello che fotografi?

A: Ho sempre molta curiosità verso le novità e cerco di conoscere prima i soggetti delle mie fotografie.

 

Pubblico: Dove hai fotografato i grifoni?

A: Sul monte Prat sopra Cornino, consiglio a tutti di andare a vederli perché è molto emozionante.

 

P: La natura di Alessando non si ferma ai fuori ed agli animali ma spazia anche sui paesaggi. Cosa in particolare?

A: questa volta mi sono concentrato sull’acqua, in movimento, ferma o addirittura ghiacciata.

 

Viene proiettata l’ultima multivisione “Waterflow”.

 

© Alessandro Laporta

© Alessandro Laporta

A: Forse non tutti sanno perché mi trovo qui questa sera… dovete sapere che mi trovo qui perché sono stato “nominato” da Marco “Lao” Zamò. Al momento della nomima, però, non avevo ancora alcun lavoro pronto, avevo delle idee ma non sapevo come concretizzarle: Ho incominciato quindi a selezionare immagini, fermandomi ad oltre 1100 foto in totale per le 3 multivisioni che avete visto e che anch’io stasera ho visto per la prima volta.

 

Marco “Lao” Zamò: Stamattina ti ho visto armeggiare con il 600mm senza alcuna difficoltà, alzi, punti e scatti… ma quando lo faccio io il soggetto non è mai inquadrato.

A: fortunatamente per i gli animali non sono un cacciatore… è tutta questione di esperienza e comunque con 1200mm (600 duplicato) comincio anch’io a cercare il soggetto, ma sono casi particolari.

 

P: Un suggerimento per chi aspira a diventare fotografo naturalista?

A: Nelle immagini cercate di trasmettere il vostro cuore, non andate a cercare la tecnica o a copiare gli altri. Cercate voi stessi, realizzando l’immagine che volete scattare. Non abbiate fretta di progredire, e non cercate “scorciatoie” con attrezzature costose.

 

P: Dove vai domani?

A: A lavorare (se riesco a ritornare a casa, perché mi si è accesa una spia sospetta nel cruscotto)

© Giovanni Contessa

© Giovanni Contessa

P: E dopo domani?

A: Devo consultare il meteo.

 

P: Un posto da consigliare?

A: L’isola della Cona se vi piace quel genere di fotografia. Oppure, se volete andare all’estero, andate al Bayerischer Wald.

 

Pubblico: Nelle foto di paesaggio ho visto dei posti che immagino sia lontani da raggiungere, resta un po’ di tempo per viverli oppure tutto il tempo è dedicato alla fotografia?

A: I paesaggi si vivono soprattutto in prima persona, al momento del sopralluogo, quando studio il luogo ed il percorso. Quando si parte per fotografare l’alba bisogna arrivare almeno 30-45 minuti prima e anche se qualche volta poi non si riesce a fare grandi foto, attendere l’alba in in certi luoghi regala sempre delle grandi emozioni.

 

Pubblico: Considerazione da moglie di appassionato… si vede che le tue fotografie sono fatte col cuore e siccome la fotografia è anche trasmissione di emozioni, devo dire che queste foto mi hanno veramente emozionata.

 

P: Gli appuntamenti di autofocus non finiscono qua, ed è arrivato il momento di svelare chi sarà il prossimo socio da mettere a fuoco che verrà a raccontarsi qui a giugno.

A: E’ una persona che non ha un grandissimo rapporto con la post-produzione – e lo vedo che si sta già disperando – ma è molto bravo a trasmettere emozioni con le fotogfrafie. Nomino Giacomo Luigi Menta, carissimo amico e compagno di merende, che a giugno ci mostrerà le foto dei suoi viaggi.

 

 

Si ringrazia

Logo_PALMANOVA_pos

per l’ospitalità

Steve McCurry ha ricevuto il 27 febbraio 2016 a Spilimbergo, alla presenza del Sindaco, del Presidente del Consiglio Regionale, del Vicepresidente della Fondazione CRUP, della Presidentessa del CRAF e della curatrice italiana delle sue mostre, Biba Giacchetti, il XXI International Award of Photography, assegnato in precedenza dal CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, a Frank Horvath, Peter Galassi, Henri Cartier-Bresson, Josef Koudelka, Alain Sayag, Uwe Ommer ed altri illustri fotografi.

Steve McCurry a Spilimbergo

Steve McCurry a Spilimbergo

La motivazione del prestigioso premio è stata la seguente: “Per il suo lavoro imperniato sulla conoscenza delle conseguenze nefaste della guerra, mostrando non solo quello che la guerra imprime al paesaggio, ma piuttosto come essa segni il volto umano”.
Foltissimo il pubblico presente, circa 600 persone, che ha tributato lunghissimi applausi al grande fotografo.

 

Tra il pubblico, gli studenti delle scuole d’arte della Regione, che hanno intervistato McCurry, rivolgendogli numerose e interessanti domande:

 

Studente: Cos’è per lei la fotografia e quali sono i punti di forza del linguaggio del suo lavoro?

Steve McCurry: La fotografia per me è una passione. Una delle mie grandi passioni è sempre stata viaggiare: ho cominciato a viaggiare quando avevo 19 anni ed ho visitato molte parti del mondo. Poi, quando sono diventato fotografo, mi sono reso conto che la fotografia dava uno scopo al viaggio. Per me fotografare significa esplorare il mondo e viaggiare mi dà la possibilità di vedere da vicino persone e paesaggi. Per me la fotografia è davvero esplorare il mondo. Un’altra dimensione importante della fotografia è però quella di raccontare storie. Io faccio il fotoreporter e quindi, grazie alla stampa ed agli altri media sono in grado di fare vedere alle persone quello che accade nel resto del mondo: Sono i media che ci informano di quello che avviene ed essere parte di questa comunità per me è un onore.

 

Studente: quando lo ha trovato e da cosa è identificato il suo stile?

Steve McCurry: Come descrivere il mio stile? Io cerco di raccontare delle storie, cerco di vivere il mondo. A me piace molto guardare le strade, cogliere il mondo. In fondo mi avvalgo di un medium visivo con il quale guardo alla superficie delle cose. L’Italia è un luogo perfetto per questo, grazie alla sua architettura, alla sua arte, al suo paesaggio. Per me la fotografia è uno sfogo creativo, un modo per interpretare il mondo.

Biba Giacchetti: Vorrei dire qualcosa anch’io. Spesso i ragazzi cercano delle “ricette”: Steve ha uno stile, ma è assolutamente inconsapevole dello stile che ha. Quando gli faccio rilevare delle cose o scrivono dei saggi critici su di lui, lui dice che non era una sua intenzione quella di raccontare quella cosa in quel modo. Mentre ci sono altri fotografi, anche famosi, che cercano di applicare uno stile, di dare una forma al loro lavoro, per Steve è un flusso diretto, non è una cosa che lui cerca di mettere in scena, è proprio che lui come vede la realtà la fotografa, e magari noi eravano lì con lui mentre fotografava e noi vediamo delle cose e poi dopo nelle sue fotografie ne troviamo delle altre… Questa è una cosa che non si può clonare. Purtroppo!

Steve McCurry e Biba GiacchettiI

Steve McCurry e Biba GiacchettiI


Studente: Da un punto di vista mediatico, che importanza ha avuto la ragazza Afgana e cosa rappresenta adesso per lei?

Steve McCurry: Quella foto è una foto della quale si parla tutti i giorni, quindi è una foto speciale con la quale io convivo. Guardo la sua espressione, lo sappiamo tutti: era una profuga, era orfana, aveva una vita difficile. Prima viveva in una bella casa in un bellissimo luogo, poi più nulla. A causa della guerra ha dovuto spostarsi in una tenda. La sua espressione secondo me contiene sfida, contiene forza, contiene perseveranza, contiene dignità. Anche se è povera, vediamo che negli occhi ha fiducia, nonostante il dolore che sta provando. Quindi intravedo dell’ottimismo nel suo sguardo, uno sguardo che guarda dritto avanti a sé. Almeno questo è il mio pensiero e comunque è un’espressione che mi conforta molto.

 

Studente: E’ mai stato censurato nel suo ruolo di fotografo?

Steve McCurry: Assolutamente no! Quando scatto, mi sento completamente libero, mi esprimo senza alcun indugio, né esitazione.

 

Studente: Esiste un progetto che non ha ancora potuto realizzare e che vorrebbe fare in futuro?

Steve McCurry: Sto lavorando ad un progetto, un libro sull’Afghanistan. Ci sto lavorando da trent’anni e raccoglierà tutto il mio lavoro. C’è poi un altro progetto che mi impegnerà per i prossimi 3 o 4 anni ed è qualcosa di assolutamente, completamente personale.

 

Studente: Ci sono stati altri fotografi importanti come suo riferimento culturale delle sue fotografie?

Steve McCurry: Per me il più importante fotografo è stato Henri Cartier-Bresson: lo apprezzo moltissimo per la sua umanità, il suo senso artistico, la sua capacità di esprimersi in maniera grandiosa, per il suo modo di fare fotografia. Inoltre anche lui era un grande viaggiatore, è stato in Italia, Francia, India, Cina, USA, eccetera negli anni ’30, ’40 e ’50, ha viaggiato per decenni. Ovviamente ce ne sono anche altri che sono stati importanti punti di riferimento per me, come Capa, Erwitt e altri, ma Cartier-Bresson è decisamente stato il più importante per me.

Studente: Come ha vissuto il passaggio dall’analogico al digitale? Come si è adattato a tale cambiamento? Crede che questo abbia modificato il suo modo di comunicare tramite la fotografia?

Steve McCurry: Credo che sarei stato un fotografo molto migliore se avessi avuto il digitale già 30 anni fa. Per quasi 25 anni ho usato la pellicola Kodachrome, e serviva davvero un sacco di luce per fotografare. La fotografia digitale invece ci consente di fotografare con pochissima luce. Per esempio anche in questo teatro potremmo scattare delle buonissime foto. Prima con l’analogico questo non era possibile. Una cosa bella della fotografia digitale è che si può vedere immediatamente quello che si è scattato, apprezzando il fuoco, la luce, la composizione. Con l’analogico questo non era possibile: si faceva una lunga serie di scatti per poi rendersi conto solo a posteriori che il risultato era stato tremendo perché c’era pochissima luce. Ora con il digitale gli errori si correggono subito e non ce se ne accorge dopo, quando sarebbe troppo tardi.

 

Studente: Cerca qualcosa in particolare nei soggetti che ritrae, ad esempio nel volto, nello sguardo, anche nell’abbigliamento, o piuttosto segue semplicemente il suo istinto?

Steve McCurry: Le persone sono diverse per diversi motivi. A volte mi attrae un volto, un abito. La gente di solito vuole apparire al suo meglio, ma ognuno lo fa in modo diverso. Nelle diverse culture questo tentativo di apparire al meglio: c’è chi lo fa con un abito, chi con un’acconciatura o un gioiello e gli effetti che si ottengono sono sempre diversi e questo dobbiamo rispettarlo. Per esempio, ci stupiamo se osserviamo come si adornano i capelli in Africa o in India o i gioielli che usano, ma anche loro si stupiscono guardando noi. Quindi dobbiamo goderci queste differenze. Il fotografo in fondo cosa fa? Osserva gli esseri umani, che sono uguali nella loro essenza, ma sono tutti diversi. Questo per me è una cosa molto importante per me come fotografo e anche semplicemente come uomo.

 

Studente: Ci sono mai stati dei momenti nei quali si è sentito a disagio nel fotografare la sofferenza degli altri e come è riuscito a superare questi momenti di difficoltà?

Steve McCurry: Credo che sia importante, davanti a domande come queste, dire che quello che importa è l’intenzione, è lo scopo. Il giornalista, il fotografo, il cineoperatore, devono raccontare delle storie, in fondo le persone si informano su quello che avviene nel mondo attraverso la televisione e gli altri media. È grazie a questo che apprendiamo che esistono i rifugiati dalla Siria, dall’Afghanistan, che c’è l’Iraq, che c’è la povertà, che ci sono le malattie… queste cose le sappiamo dai media. Quando si fotografa la sofferenza ed il dolore, lo scopo è quello di informare, al fine di forse di migliorare il mondo, se qualcuno si sentirà spinto a fare qualcosa per ovviare a queste situazioni. Quindi sono storie da raccontare, che abbiamo l’obbligo, il dovere di raccontare attraverso le foto, attraverso la stampa, attraverso i media. In realtà io non provo imbarazzo, perché sento che questo è il mio dovere.

 

Steve McCurry a Spilimbergo

Steve McCurry a Spilimbergo

Studente: Quali sono le storie che più le piace raccontare attraverso la fotografia? Si definisce un artista?

Steve McCurry: Mi chiedi se mi ritengo un artista… Mi ritengo un fotografo, mi riesce difficile dare delle etichette. L’arte è una cosa diversa: significa esprimere sé stessi ed interpretare il mondo a proprio modo. Torno a parlare di Henri Cartier-Bresson: è stato un grande fotodocumentarista, però allo stesso tempo un artista, ha raccontato storie veramente di grande umanità in una maniera splendida. Lui sì, era un artista, con la sua grande profondità. E questo è qualcosa che esula dal semplice trasferimento di informazioni attraverso le immagini. Lui ha raccontato storie universali. Dire che qualcuno è un artista è forse dare delle etichette, però, nonostante questo, ritengo che le sue foto siano state estremamente importanti: le guardiamo e ancora oggi ci suscitano delle profonde emozioni. Questo è il retaggio che lasciano le grandi opere: anche dopo 60 anni rimaniamo ancora colpiti dal suo lavoro. Quindi io prescinderei dalle denominazioni e dalle etichette. Per quanto riguarda le storie che mi piace raccontare, in realtà per trovare una storia, per avere qualcosa da raccontare, non occorre viaggiare il mondo, basta uscire da quella porta e guardare fuori, perché le storie importanti e degne di essere raccontate sono ovunque.

 

Studente: Il fotografo si deve adattare ai gusti del pubblico e del mercato o deve mantenere come priorità il cercare qualcosa che emozioni prima di tutto lui stesso?

Steve McCurry: Credo che un giornalista, nel mio caso un fotoreporter, abbia il dovere di essere onesto, di descrivere quello che vede in maniera sincera, senza falsare nulla, soprattutto agire eticamente, perché ha una responsabilità nei confronti del proprio pubblico. Se invece una persona va in giro alla ricerca di uno scatto per piacere personale, allora la responsabilità la si ha solo nei confronti di sé stessi.

 

Studente: Quando aveva vent’anni, quindi circa l’età degli studenti qui presenti, aveva già deciso cosa fare della sua vita oppure era ancora indeciso e magari anche spaventato?

Steve McCurry: Si, ero un po’ preoccupato. E non ero sicuro di quello che volevo fare. Però mi ritengo una persona fortunata. All’inizio per circa un anno ho studiato cinema, poi sono passato alla fotografia, trovando la mia vera passione. È il mio un lavoro che faccio con passione, ho sempre amato alzarmi la mattina e andare a lavorare, e questo mi dà molta energia, mi dà molta forza. La gente mi chiede “ma come fai a girare così il mondo, dove trovi tutta questa energia?”. E l’energia la traggo proprio dal mio lavoro , dallo girare il mondo. È il modo migliore di lavorare.

 

Studente: Ha detto che la sua vita è cambiata dopo la sua prima esperienza in Afghanistan, ma in che modo è cambiata? Che cosa ha compreso e capito a contatto con una realtà di persone così differenti dalla nostra?

Steve McCurry: La prima volta che sono stato in Afghanistan è stata anche la prima volta che mi sono recato in un’aera di guerra. Ho visto villaggi distrutti, ho visto gente massacrata, cose che non avevo mai visto in precedenza, e da giovane fotografo ho capito che il mondo doveva conoscere quelle situazioni. È stato quindi una specie di spartiacque nella mia vita. Noi viviamo in città in cui c’è l’acqua, c’è l’elettricità… io vivevo alla periferia di una città e quindi godevo di tutte queste cose, invece in Afghanistan no, non c’era acqua, non c’era energia elettrica, non c’erano medici, non c’erano trasporti, non c’erano nemmeno biciclette. E per me tutto questo è stato molto importante, ho imparato molto da quella esperienza, è stato come guardare indietro nel tempo, tornare indietro di 500 anni, un’epoca nella quale non esistevano automobili, radio, televisione, né acqua ed elettricità. È stato per me un modo per guardare dentro uno scorcio di “passato” che ho trovato veramente affascinante. Lì il cibo nemmeno veniva cotto, veniva semplicemente raccolto nei campi. È stata davvero un’esperienza istruttiva e importante per me.

 

Gli autografi

Gli autografi

Studente: In che modo riesce ad avvicinarsi ed a relazionarsi con i suoi soggetti?

Steve McCurry: Questa è una domanda che mi fanno spessissimo. In realtà non so come rispondere con esattezza. Scelgo i miei soggetti tra le persone che mi ispirano. Se vedo qualcuno che mi ispira una fotografia, la faccio, ma innanzitutto chiedo se posso fotografare quella persona, perché una cosa importante è il rispetto. Un’altra cosa molto importante è il senso dello humor, perché quando le persone si accorgono di essere fotografate si sentono imbarazzate. Per me è invece importante che la gente sia rilassata, che si senta a proprio agio. Quindi è come cercare di distogliere l’attenzione da qualcosa, fare in modo che le persone non si sentano imbarazzate. Io fotografo la gente comune, la gente di strada e mediante il mio interprete chiedo alle persone se accettano di essere fotografate e cerco di creare il clima giusto, in modo che   lo scatto sia qualcosa di piacevole anche per loro. E poi si procede per tentativi ed errori. Comunque, dovendo usare delle parole chiave, io direi: humor, rispetto e far stare la gente a proprio agio.

Studente: Qual è, se ce n’è uno, il minimo comune denominatore che accomuna tutti i luoghi e le persone che ha fotografato?

Steve McCurry: Di solito sono le cose alle quali reagisco visivamente, non ha importanza se sono in Italia, in India o a New York. Di solito sono le cose più strane. Difficile parlare di un minimo comune denominatore, a volte si tratta di cose che attirano l’occhio in modo del tutto casuale: può essere una crepa nel pavimento o un cane che gioca… sono le cose che toccano la giusta corda, piccoli dettagli, cose bizzarre o imprevedibili, che catturano lo sguardo… Ma fondamentalmente non si può parlare di un minimo comune denominatore, sono cose casuali, che catturano l’occhio in modo del tutto casuale.

 

Studente: Ci sono state, fotograficamente parlando, delle esperienze negative che ha vissuto e che non vorrebbe mai più rivivere? Quali e perché?

Steve McCurry: Ho dovuto pensarci un attimo. Forse le situazioni peggiori sono quando le persone si rifiutano di farsi fotografare o magari si arrabbiano perché non si erano accorte che stavo fotografando. Forse la peggiore esperienza l’ho vissuta in India quando ero in acqua e stavo facendo delle foto e c’erano degli ubriachi che si sono scagliati contro di me, hanno distrutto la mia macchina fotografica e mi hanno quasi affogato, perché mi hanno messo più e più volte la testa sotto acqua e quella volta ho pensato di morire. Ho davvero temuto molto per la mia vita fino a quando non sono intervenute altre persone che mi hanno salvato.
Comunque le esperienze più negative sono quando la gente non vuole essere fotografata ed arriva al punto di strapparmi via la macchina fotografica o prendermi il rullino.

 

L'autografo sui libri

L’autografo sui libri

Nel pomeriggio, alla presenza dell’autore, è stata inaugurata a Pordenone la nuova mostra di Steve McCurry presso la Galleria Harry Bertoia. Si tratta di una retrospettiva che ripercorre, attraverso circa 100 scatti, ben 40 anni di fotografia “Senza confini”. La mostra resterà aperta fino al 12 giugno.

 

Il prossimo 12 Marzo saremo ospiti della 15^ edizione dell’evento organizzato da Roberto Bartoloni.
La serata si svolgerà dalle 21:00 presso l’auditorium Leonardo Da Vinci in San Donà di Piave, Piazza Indipendenza 13.

Locandina Diaponatura San Donà

Locandina Diaponatura San Donà

 

Il CFP presenterà alcune multivisioni, rinnovate o totalmente inedite:
FVG
Friuli Venezia Giulia Landscapes:
un volo di immagini dalle montagne alla laguna della nostra splendida regione: lavoro collettivo di 25 autori del CFP, (durata 15’16”)
Skye
Skies of Skye:
I cieli, i monti, i mari, ma soprattutto i cieli della bellissima isola Scozzese: di Marco Manzini, Stefano Rossi, Paolo Vercesi, Fabio Germani, Luigino Snidero, (durata 12’01”)Wyoming
Wyoming Express:
Grand Teton e Yellowstone dall’obiettivo di un turista: di Paolo Vercesi (durata 6’10”)
Plitvice
Rainy Days:
L’autunno sotto la pioggia a Plitvice: di Matteo Cefarin, Alessio Valentino, Marco Manzini, Stefano Rossi, Daniele Favret, Luigino Snidero (durata 6’07”).

 Iceland
Inspired by Iceland:
L’isola di ghiaccio raccontata dalle immagini di Marco Manzini, Stefano Rossi, Yan Bertoni, Paolo Vercesi e Daniele Favret (durata 7′)

Il 20 Febbraio 2016, il CFP ha presentato in Abbazia di Rosazzo e con la collaborazione di Proloco Manzano, lo splendido libro “Carnia scrigno di emozioni” con immagini di Gabriele Bano e Paolo da Pozzo, prefazione di Dante Spinotti e multivisione di presentazione di Diana Crestan, Daniele Marson Editore.

Paolo da Pozzo e Gabriele Bano © Bano e Da Pozzo "Carnia scrigno di emozioni"

Paolo da Pozzo e Gabriele Bano © Bano e Da Pozzo “Carnia scrigno di emozioni”

“Carnia scrigno di emozioni” è uno splendido e raffinato volume fotografico indirizzato alla conoscenza del territorio carnico ed a chi ama la buona fotografia in genere, con immagini che rappresentano benissimo “un ambiente unico che nelle sue vallate racchiude una natura ancora integra dove ambienti caratterizzati da torrenti, prati, boschi e vette si susseguono, suscitando a chi in punta di piedi ha la sensibilità di saper vedere e ascoltare, emozioni che rimangono nel cuore. Le stagioni ed i colori, sapientemente ritratti dai fotografi che nella Carnia hanno la loro terra nativa, si alternano nelle valli esaltando questo scrigno di bellezze naturali”.

Il pubblico in sala

Il pubblico in sala

 

Il nostro Paolo Vercesi ha intervistato i due bravissimi fotografi:

Paolo Da Pozzo e Gabriele Bano alla presentazione di "Carnia scrigno di emozioni"

Paolo Da Pozzo e Gabriele Bano alla presentazione di “Carnia scrigno di emozioni”

 

Paolo Vercesi: Com’è nata la vostra passione per la fotografia?

Gabriele Bano: La mia passione per la fotografia naturalistica nasce dalla passione per la natura. Nasco come naturalista autodidatta. Prima, come tutti noi in Carnia, con il nonno cacciatore in giro per i boschi, con la nonna a fare fieno sui prati. Già all’epoca andavo alla ricerca della farfalla, del bruco, specialmente degli uccelli. Poi piano piano è nata la voglia di documentare quello che vedevo, di studiare quello che vedevo: da lì è nata la mia passione per la fotografia. Successivamente sono entrato a far parte dell’AFNI, Associazione Fotografi Naturalisti Italiani, all’epoca capitanata da Daniele Marson (e oggi siamo nuovamente insieme qui 20 anni dopo a presentare questo progetto). Poi è arrivata l’amicizia con Paolo con il quale, pur essendo del mio stesso paese, ci siamo conosciuti solo molto tempo più avanti.

Paolo Da Pozzo: Per quanto mi riguarda la mia esperienza è molto simile. Fin da piccolo andavo con mio padre a caccia, e la Carnia è ricca di cacciatori, fin da piccolo ho scoperto il fascino della natura, quello di alzarsi molto presto al mattino, di vedere le prime luci, le albe, le nebbioline. Andando a caccia con mio papà ho potuto apprezzare tutte queste cose. Portavo con me la mia macchina fotografica, che era poco più che un giocattolo all’epoca. Ho coltivato a lungo questa passione, concentrandomi sulla fotografia naturalistica, di animali e di paesaggio, poi sono entrato a far parte dell’AFNI, dove ho conosciuto tante persone che condividevano la mia stessa passione e già 5 anni fa con Gabriele e con Luciano Gaudenzio abbiamo pubblicato un libro sul nostro territorio, sulla Carnia. Infine abbiamo avuto la fortuna di trovare un editore che ha creduto in un nuovo progetto sulla Carnia e dopo 4 anni a raccogliere immagini abbiamo finalmente partorito questo nuovo libro.

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

 

Paolo V: Nonostante siate bravissimi, non siete fotografi a tempo pieno: nella vita cosa fate?

Paolo DP: Io ho un’attività commerciale a Tolmezzo, alla sua terza generazione, e quella è la mia attività prevalente. Poi chiaramente la fotografia è qualcosa che va al di là della passione perché ti impegna tutto il tempo libero.

Gabriele B: Io sono un libero professionista, faccio l’avvocato a Tolmezzo. Anche per me la fotografia è solo una passione. Io mi definisco un fotoamatore evoluto, vendo i miei libri ai miei amici e quindi… (ride)

Paolo V: I fotografi spesso sono considerati “animali solitari”, mentre voi collaborate già da alcuni anni e avete già realizzato assieme un altro libro: come nasce e come si mantiene un simile sodalizio?

Gabriele B: Nasce tutto dalla passione. È vero che il fotografo naturalista tende ad essere più solitario perché per certi tipi di fotografia è opportuno essere in un numero dispari inferiore a 3, per non recare disturbo, perché quando sei insieme ad altri comunque chiacchieri ed aumenti la possibilità di spaventare gli animali, però io preferisco uscire in compagnia. Con Paolo usciamo assieme da una decina di anni e ci unisce la passione, l’amore per la fotografia e la natura. È un’amicizia che è sopravvissuta alla realizzazione del primo libro, che ha comportato anche degli effetti economici, e nonostante questo l’amicizia è rimasta inalterata, anzi è aumentata e ci ha portati verso un ulteriore progetto. Credo sia questo il leitmotiv della nostra amicizia: la passione vera e l’amicizia vera, profonda.

Paolo DP: Condivido. Il bello di condividere un progetto è quello che ci si confronta continuamente, si fanno uscite insieme, si porta avanti tutta la progettualità del prima e del dopo del libro… Non nascondo che anche fare delle uscite in solitaria ti dà una gratificazione personale importante, perché hai modo di fare dell’introspezione mentre cammini da solo, mentre raggiungi un certo obiettivo, una certa meta. Quindi c’è un aspetto positivo per entrambe le situazioni.

Gabriele B: Non dimentichiamo però che anche che quando andiamo da soli c’è sempre la condivisione immediata di quello che abbiamo portato a casa.

Paolo DP: Infatti noi abbiamo un nostro modo per comunicare. Per esempio quando portiamo a casa la fotografia di un animale particolarmente elusivo, ci scriviamo “in saccoccia abbiamo la foto del forcello piuttosto che del cedrone”… è proprio un modo per dire che abbiamo conquistato insieme un certo risultato.

© Bano e Da Pozzo Le ultime luci calano sul Monte Bivera Sauris Carnia

© Bano e Da Pozzo Le ultime luci calano sul Monte Bivera Sauris Carnia

 

Paolo V: In questo libro quante foto avete fatto assieme?

Gabriele B: Forse tutte… Non lo so, dovremmo sfogliare il libro. Diciamo che sono state pensate tutte insieme. Proprio quello che diceva prima Paolo: il bello sta anche nella progettualità: trovarsi, cartina Tabacco alla mano, vedere quello che ci mancava a livello paesaggistico, studiare chi ci andava e quando andarci. Lo stesso per quanto riguarda fiori, piante, animali. La progettualità delle foto è stata sempre pensata da entrambi. Alla fine ci eravamo ripromessi, anche con Daniele, di utilizzare 100/110 foto per il libro, cercando di bilanciare con una cinquantina a testa, 10 su, 10 giù, non avrebbe avuto importanza. Alla fine invece, senza volerlo, eravamo esattamente al 50% a testa.

Paolo V: “Carnia scrigno di emozioni” sta avendo un grande successo. Avete venduto oltre 1500 copie: questo cosa significa per voi?

Paolo DP: Significa una soddisfazione personale, indubbiamente, ma anche la consapevolezza che riusciamo probabilmente a far prendere coscienza della bellezza di un territorio che ci è così vicino. Per noi la più grande soddisfazione quando facciamo queste serate, e magari le facciamo proprio in Carnia, è che dei conterranei ci dicano “non credevamo di avere cose così belle sulla porta di casa”. Questa è la cosa che ci gratifica di più.

Paolo V: La prossima sfida da fare assieme?

Gabriele B: Carnia 3.0 (ride)

Paolo V: Il posto più bello che avete visitato in Carnia?

Gabriele B: Questa domanda avrei dovuto leggerla prima, così mi preparavo… (ride)

Paolo DP: Per quanto mi riguarda, la discesa della forra del Lumiei, che è stata un’esperienza particolare, piuttosto avventurosa: ho dovuto farmi accompagnare da una guida, con calate con le corde, con la muta da subacqueo, tutta l’attrezzatura dentro a barilotti a tenuta d’acqua… è stata una cosa piuttosto impegnativa, ma ne valeva la pena, perché è un ambiente estremamente severo, ma anche estremamente particolare, che nessuno immagina possa trovarsi nella nostra terra.

Gabriele B: Per quanto mi riguarda, è difficile dire quale sia il posto più bello. Tutta la zona di Sauris, tutta la zona di Paularo, probabilmente. Per completare il discorso di Paolo da un punto di vista non solo paesaggistico, quelle che mi hanno dato più gioia sono state la foto del gallo forcello: un target che va molto seguito anche dal punto di vista della preparazione naturalistica: studiare la specie, l’etologia della specie, cercarlo e cercare di farlo in ambienti particolari. Vedrete poi delle foto con la neve, altre senza… tutto questo è stato per me molto gratificante.

© Bano e Da Pozzo "Carnia scrigno di emozioni"

© Bano e Da Pozzo “Carnia scrigno di emozioni”

 

Paolo V: La sala stasera è piena di fotografi: avete un posto da consigliare?

Gabriele B: I punti più facilmente raggiungibili e che possono dare quasi immediatamente dei risultati, pur non conoscendo i luoghi, sono forse tutto l’anello delle malghe di Sauris e la Val Pesarina. Sono i luoghi più facilmente raggiungibili e che possono dare più facilmente soddisfazioni anche se non conosci quel territorio.

Paolo DP: Condivido e aggiungo che sicuramente una delle esperienza più belle per un fotografo paesaggista è quella di andare ai primi di luglio, magari partendo da Lateis, che è una piccola frazione sopra Sauris, fare la via delle malghe, la panoramica alta e lì si trova ad un certo punto una malga che si chiama Pieltinis, che a luglio diventa letteralmente tutta rossa di rododendri: a livello di arco alpino una situazione del genere non si vede facilmente, non si riesce proprio a camminare se non calpestando i rododendri. È proprio uno spettacolo.

Paolo V: Per questa serata avete deciso di presentarvi anche utilizzando la multivisione per voi preparata da Diana Crestan: cosa ne pensate di questa forma di espressione della fotografia?

Gabriele B: è un’espressione d’arte. Noi questa sera proporremo anche 4 o 5 slideshow, cioè immagini musicate e poi passeremo la parola alla professionista e forse ci spiegherà lei la differenza tra un semplice audiovisivo e una multivisione in cui oltre alla fotografia ed alla musica si aggiunge anche qualcos’altro.

Paolo DP: Prima che Diana realizzasse la sua multivisione, con Gabriele ci siamo confrontati, cercando di capire cosa a noi piacesse di più in termini legati forse ad una fotografia più tradizionale, la classica proiezione in dissolvenza. Quindi musica ed immagini “pulite”, senza effetti speciali, dissolvenze strane, sovrapposizioni… Questo è quello che noi preferivamo. Poi io so che la multivisione è molto di più…

Paolo V: In assoluto, qual è la foto che vi ha dato più soddisfazioni?

Gabriele B: La foto che mi ha dato più soddisfazioni è stata quella premiata ad un concorso internazionale in Germania nel 2007. Era ancora una foto su pellicola 6×4,5 Velvia, una foto del torrente Arzino in autunno. Sono innamorato del Torrente Arzino in tutte le stagioni, ma particolarmente in autunno, e tutti i fotografi che sono qui sicuramente lo conoscono, però il fatto di essere premiato ad un prestigioso concorso internazionale per la prima volta con la foto del “tuo cuore” è stata veramente una soddisfazione enorme, tanto che Paolo mi ha accompagnato alla premiazione, sobbarcandosi un migliaio di chilometri buoni… Però ne valeva assolutamente la pena: portare il tuo territorio al di fuori dei tuoi confini non ha prezzo!

Paolo DP: Per quanto mi riguarda, è difficile dire qual è la tua foto che ti emoziona di più… Forse quella che dopo vedrete e che apre la proiezione dei galli forcelli, che rappresenta un gallo che canta sotto una grande nevicata. È quello che ci sta prima che crea il ricordo, che crea un’emozione… eravamo saliti il giorno prima a mettere i nostri capanni con una situazione primaverile, quindi assolutamente tranquillissima, con i crochi sui prati. Siamo poi scesi la sera a dormire al rifugio e quando ci siamo svegliati abbiamo sentito quello che io chiamo il “rumore del silenzio” tipico di mentre sta nevicando. Avevamo i nostri capannini in quota e ci siamo chiesti “cosa facciamo?” perché non sapevamo se trovavamo i galli o meno. Siamo comunque saliti, i capannini erano diventati dei piccoli igloo perché erano completamente sommersi dalla neve. Ci siamo entrati e con nostra grande sorpresa si è verificata questa bellissima situazione dei galli che, mentre nevicava, sono apparsi comunque e sono riuscito a realizzare questa foto con il groppone del gallo tutto imperlato di neve ghiacciata mentre sta nevicando. Questo è uno dei ricordi più belli, delle emozioni più belle che ho.

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

 

Paolo V: Un fotografo che vi ispira?

Gabriele B: Dico prima io così Paolo non me lo ruba… rispondo in 2 step. All’epoca della pellicola, 15 anni fa, sicuramente Hannu Hautala, attualmente ce n’è tanti, ma forse quello in cui mi rispecchio di più è il fotografo francese Vincent Munier: un fotografo molto di atmosfera, animali ambientati, montagna, Nord, neve. Mi ci vedo molto. Molto lontano, eh? (ride)

Paolo DP: Per quanto mi riguarda, non so se lo conoscete, Bruno D’amicis, perché è un grande fotografo, ma soprattutto perché è una persona che ha una passione enorme per la natura. Quando lui porta avanti un progetto, lo porta avanti in un modo totale, con una dedizione completa. Lui è stato capace di vivere 3 mesi a fianco dei lupi in totale solitudine per riuscire a fare delle foto che magari non tutte sono fantastiche da un punto di vista prettamente fotografico, ma che danno veramente il senso di come è riuscito ad integrarsi con la natura ed a creare una simbiosi unica.

Paolo V: Che cosa non lasciate mai a casa?

Gabriele B: La macchina fotografica (ride)

Paolo DP: Il cavalletto, tra tutti gli accessori, se si può definire accessorio, è fondamentale perché permette una fotografia molto più riflessiva, molto più posata anche nell’epoca del digitale: Oggi hai la tentazione di scattare tanto e più di quel che serve. Il cavalletto ti permette di curare molto la composizione, l’inquadratura, di curare lo scatto in maniera più riflessiva

Paolo V: Paolo, Gabriele, grazie. Non resta che scoprire cosa c’è dentro lo scrigno!

 

In occasione di Autofocus # 1 del 15 Febbraio 2016, abbiamo intervistato il nostro ospite, Felice Cirulli.

Felice Cirulli

Felice Cirulli

Felice ci ha mostrato alcune delle sue splendide multivisioni, che hanno raccolto moltissimi applausi dal folto pubblico presente:

– I love London
– Venezia, la poesia in maschera
– Streeteggiando
– Bodypainting, il festival del colore
– Danimarca: castelli, colori nuvole e …sorrisi
– Ritratto che passione!

 

 

Il pubblico in sala ad Autofocus # 1 - Incontro con Felice Cirulli - Foto di Luigino Snidero

Il pubblico in sala ad Autofocus # 1 – Incontro con Felice Cirulli – Foto di Luigino Snidero

 

Ecco l’intervista:

Paolo: Ciao Felice, sei a tuo agio?

Felice: …Si!

P: Abbiamo appena pubblicato l’intervista a David Noton sul sito del Circolo Fotografico Palmarino, sai che la tua finirà subito dopo?

F: No! (ride)

P: Passiamo ai dati anagrafici: età?

F: Purtroppo ho 57, no 56 anni…

P: Professione?

F: Io sono un promotore finanziario… un brutto lavoro in questo periodo!

P: Stato di famiglia?

F: Sono felicemente coniugato, felicemente papà, con un figlio di 22 anni, che vive in Olanda già da 2 anni: ha lasciato la famiglia molto presto per andare a lavorare e sono molto felice, di nome e di fatto.

MODEL © Felice Cirulli

MODEL © Felice Cirulli

P: Raccontaci un po’ dei tuoi hobby: quando hai cominciato e perché a fotografare?

F: L’unico hobby che ho è la fotografia. Ho cominciato da piccolo a fare fotografia, ero adolescente, avevo appena cominciato a lavorare e con i primi risparmi ho comperato una reflex. Ho anche frequentato un corso di fotografia, di sviluppo e stampa, però poi ho abbandonato presto. Nelle mie velleità di giovane maldestro c’era quella di fare il giornalista da grande. Difatti mi ero anche iscritto ad una scuola di giornalismo a Milano, io vengo da Milano, purtroppo poi sono stato assunto in banca… è andata male…

P: Per te o per la banca?

F: Per tutti e due (ride)

Paolo Vercesi intervista Felice Cirulli - Foto di Marco Marco Manzini

Paolo Vercesi intervista Felice Cirulli – Foto di Marco Marco Manzini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

P: Questa predisposizione al giornalismo si vede nelle tue foto, dove c’è sempre il fattore umano: cosa significa per te?

F: Per me è tutto: la fotografia per me è fotografare le situazioni, le persone, gli ambienti… Un ambiente senza le persone non mi dà nessuno stimolo. Vado a cercare appositamente i luoghi dove c’è la gente per poterla fotografare.

P: La foto che ti ha dato più soddisfazioni?

F: Nessuna (ride)… La devo ancora fare.

P: Quali programmi hai in testa per scattare questa foto?

F: Purtroppo faccio fotografia nel tempo libero, durante le vacanze, per cui mi piacerebbe organizzare un viaggio in un luogo classico, ma esotico. Per esempio l’India mi affascina sotto quel punto di vista, ma ce ne sono tantissimi: penso che il mondo sia pieno di posti adatti a fare belle fotografie.

P: Ci hai raccontato che hai cominciato frequentando un corso. Questa sera qui c’è qualcuno che sta frequentando il nostro qui in sala: che suggerimento vuoi dargli?

F: Riguardo alla fotografia il mio punto di vista è che bisogna fare qualcosa che catturi la propria emozione, cioè riuscire a tradurre in un’immagine un’emozione che si vive in una situazione, in un contesto, quando si ha a che fare con persone o meno. Non sopporto invece i ritratti in posa, molto stereotipati, amo invece le fotografie fatte in situazioni più naturali. Quindi una cosa che vorrei consigliare ad una persona che si approccia alla fotografia è quella di fare in modo di cogliere la naturalezza delle situazioni quando si presentano ai suoi occhi.

CARNEVALE DI VENEZIA © Felice Cirulli

CARNEVALE DI VENEZIA © Felice Cirulli

P: Nell’emozione che deve raccontare una foto, quanto conta il fotoritocco?

F: Io il fotoritocco lo uso, ma lo uso in maniera finalizzata ad accentuare l’attenzione sul soggetto, quindi uso poco per esempio la clonatura, piuttosto che cambiamenti di sfondi e altro. A me il fotoritocco serve per accentuare l’attenzione, in modo che l’occhio di chi guarda vada dove voglio io. Quindi vignettatura, piuttosto che accentuazione di cromaticità, contrasti, ecc., ma non cose esagerate.

P: Se apriamo la tua borsa, cosa troviamo?

F: Quale borsa? (ride) La borsa dei sogni? Ci sono 2 borse, quella reale, dove si trova un’attrezzatura abbastanza valida… Con mia moglie ogni tanto devo far finta che qualcosa mi sia stato prestato (ride ancora). Invece la borsa dei sogni è piena di tante belle cose, ma, ripeto, non bisogna puntare l’attenzione sul discorso tecnico, piuttosto su quello creativo. Su quelle che sono le intenzioni rispetto alla fotografia, invece che sull’idea di fare una cosa pulita tecnicamente…

P: Grazie Felice, buona serata!

 

MAGICO CARNEVALE © Felice Cirulli

MAGICO CARNEVALE © Felice Cirulli

Questa è la descrizione che il fotografo dà di se stesso:
“Ho sempre amato la rappresentazione grafica della realtà: attraverso il disegno, quando non avevo che matita e pennelli. Con la fotografia, quando ho potuto imbracciare la mia prima reflex. Il mio è il percorso di chi ha una passione che non sfiorisce e che, anzi, con il tempo si trasforma in febbre…una febbre che non voglio curare e che alimento con ferrea volontà. Forse sono malato… malato di fotografia”.

BODYPAINTING © Felice Cirulli

BODYPAINTING © Felice Cirulli

Grazie a:

Logo_PALMANOVA_neg

per l’ospitalità!

Il grande fotografo David Noton è stato ospite d’onore del CFP lo scorso 13 maggio in occasione dei 40° compleanno del Circolo.
Lo abbiamo sentito nei giorni scorsi e gli abbiamo rivolto alcune domande, alle quali ci ha risposto con la consueta simpatia.

DN-2878

 

 

Ecco l’intervista:

Circolo Fotografico Palmarino:  David, com’è nata la tua passione per la fotografia?

David Noton: Nel 1980, quando ero un ufficiale della marina mercantile,  con i soldi dell’ultima paga ho comprato una reflex ed è stato così che tutte è cominciato. Sono rimasto subito fortemente affascinato dalla fotografia. E’ stato come se mi si accendesse una luce dentro!

CFP: Che ricordi ti sono rimasti dall’esperienza di Cividale in occasione dell’evento per i nostri 40 anni?

David: Trovare una tale accoglienza in Friuli e parlare in un teatro davanti a circa 450 persone è stato uno dei momenti più esaltanti della mia carriera. Mia moglie Wendy ed io non ce lo dimenticheremo mai!

CFP: David, sei stato nel nostro paese molte volte. Cosa ti piace di più e cosa di meno dell’Italia? Quando tornerai? Tornerai in Friuli?

David: Noi amiamo molto l’Italia e continuiamo a venirci almeno una volta all’anno. Dopo la nostra visita in Friuli, abbiamo trascorso un paio di settimane sulle Dolomiti lo scorso settembre ed a maggio/giugno saremo in Emilia Romagna, Umbria, Toscana e Liguria. Un nostro ritorno in Friuli per fotografare alcuni dei luoghi favolosi che ci avete fatto vedere è sicuramente nei nostri programmi, forse nel 2017.

CFP: Qual è tra le tue immagini quella di cui sei più orgoglioso?

David: Questa è una domanda molto difficile! Penso che questa di Wendy sulle dune di sabbia in Namibia significhi molto per noi, perché riassume la vita di viaggio, avventura ed esplorazione che abbiamo trascorso insieme.

Tread Boldly on Sand Dunes, Namib Desert, Namibia, Africa © David Noton

Tread Boldly on Sand Dunes, Namib Desert, Namibia, Africa © David Noton

CFP:  Chi è tra gli altri fotografi quello che ti piace di più?

David: Credo sicuramente Sebastião Salgado o Steve McCurry.

CFP:  Hai scattato un sacco di foto e pubblicato diversi libri: in un mondo che sta diventando sempre più digitale, che futuro hanno per te le immagini stampate?

David: Credo che la maggior parte di noi impieghi così tanto tempo, sia al lavoro che durante il tempo libero, a guardare lo schermo di un computer che ci sarà una rinascita delle belle immagini stampate, sia sulle pagine di un libro, sia appese in mostra alla parete. In realtà penso che stia già accadendo.

CFP:  Siamo un Circolo Fotografico, un gruppo di amici che condividono la comune passione per la fotografia: qual è il tuo pensiero sui club?

David: I Fotoclub sono ciò  che i loro membri costruiscono. Abbiamo visitato molti club e quello che è interessante è come siano tutti diversi. Il vostro club mi sembra abbia una meravigliosa vitalità, con una sana varietà di rappresentanza anagrafica. Alcuni club hanno gerarchie molto evidenti e procedure rigide, ma i migliori sono quelli dove i loro membri possono condividere entusiasmo e creatività nel loro forum, in un ambiente di reciproco sostegno.

CFP: David, hai viaggiato in tutto il mondo, c’è un posto particolare tra quelli che non hai ancora visitato dove desideri andare e perché?

David: Sono sempre più consapevole di dover visitare la Russia, dove non sono ancora stato. Sono sicuro che presenterà delle belle sfide, ma penso che le raccoglierò.

CFP:  Quali sono i tuoi piani per i prossimi mesi?

David: Saremo in Islanda già da domani, a seguire saremo in giro per l’Europa in primavera/estate e infine in Canada in autunno. Oltre a tutto questo, siamo costantemente impegnati a pubblicare sulla nostra rivista online mensile “Chasing the Light” articoli e video dal nostri viaggi fotografici in tutto il mondo in esclusiva per i membri del nostro gruppo F11

CFP: Grazie David, buona luce!

David: Grazie a voi, arrivederci!

Portrait of a girl near Vang Vieng, Laos © David Noton

Portrait of a girl near Vang Vieng, Laos © David Noton

 

L’originale dell’intervista in inglese:

CFP: How did your passion for photography started?
David: When I was a Navigating Officer in the Merchant Navy in 1980 I bought an SLR when I paid off my last ship and that was that; I was captivated by photography. I t was like a light being switched on!
CFP: What memories remained from the experience in Cividale for our 40 years celebration event?
David: Being welcomed to Friuli and talking to a full house of some 450 people was one of the most uplifting moments of my career; Wendy and I will never forget it.

CFP: You’ve been in our country many times now. What do you like the most and what the less of Italy? When will you come back? Will you be back in Friuli?
David: We love Italy and continue to come at least once a year. Since our visit to Friuli we’ve had a few weeks in the Dolomites last September and next May/June we’ll be in Emilia Romagna, Umbria, Tuscany and Liguria. A return to Friuli to photograph some of the fabulous locations you introduced us to is definitely on the cards, maybe in 2017.

CFP: What is among your pictures the one you are most proud of? (Kindly, can you attach it in low res?)
David: That is such a tough question! I think this one (attached) of Wendy on the sand dunes in Namibia is one that means a lot to us both because it sums up the life of travel, adventure and exploration we’ve had together.

CFP: Who is among the other photographers the one you like the most?
David: I guess I would have to say Sebastian Salgado or Steve McCurry. 

CFP: You took lots of pictures and published several books: in a world that is increasingly becoming digital, how do you see the future of printed images?
David: I think because most of us spend so much of our time both at work and at leisure looking at a screen there will be a resurgence in the popularity of looking at images as beautiful prints, either on a page or on the wall. In fact I think that is already happening.

CFP: We are a Photography Club, a group of friends who share a passion for photography: what is your thought about clubs?
David: Clubs are what their Members make them. We have visited many clubs and what is interesting is how different they all are. Your club seemed to have a wonderful vitality about it with a healthy range of ages and sexes. Some clubs have very obvious hierarchies and rigid procedures but the best are forums where members can share their enthusiasm and creativity in a mutually supportive environment.

CFP: You’ve traveled all over the world, is there one particular place among the ones you have not visited yet that you would like to go and why?
David: I’m increasingly aware that Russia is a country I’ve yet to visit. I’m sure it will present challenges but I think I’m going to have to do it.

CFP: What are your plans for the coming months/years?
David: We’re off to Iceland tomorrow, then will be roving around Europe in spring/summer and am off to Canada in the autumn. Beyond that we’re committed to continuing to publish features and videos from our photographic travels all over the world every month in our Chasing the Light Online Magazine http://www.davidnoton.com/chasing-the-light.asp which we publish monthly exclusively for our f11 Members.

 

 

 

 

GND sta per Graduated Neutral Density, cioè stiamo parlando di filtri neutri graduati.
Molti stanno chiedendo informazioni sull’uso di questi ottimi filtri che anch’io ho acquistato ormai da più di un anno, ma che per varie ragioni ho utilizzato finora piuttosto pochino.
In precedenza avevo utilizzato i Cokin, ma a mio parere non vanno altrettanto bene.
Il sistema Lee è forse quello più in auge tra i fotografi professionisti ed i fotoamatori evoluti di paesaggio. Esistono anche gli analoghi Cokin (bassa qualità), Hitech (così così) e Singh Ray (pure ottimi, ma più costosi dei Lee, anche a causa del dazio: sono in vendita solo negli USA). Buoni, ma non all’altezza di Lee e Singh Ray, i recenti Haida, a vantaggio dei quali c’è il prezzo allettante.
Ma, prima di tutto, a cosa servono?
Gli attuali sensori digitali non sono in grado di rappresentare la stessa gamma tonale che percepisce l’occhio umano, che riesce a distinguereun range di 12-14 stop, mentre il sensore ne registra correttamente 5-6 stop, dalla più luminosa delle luci alla più nera delle ombre.
Ne consegue ovviamente che se la scena di un paesaggio ha un divario ombre/luci superiore ai 5-6 diaframmi, il sensore non sarà in grado di rappresentarla correttamente, ovvero avremo ombre senza dettaglio esponendo per le luci o luci bruciate esponendo per le ombre.

Alba a Fossalon © Luigino Snidero

Alba a Fossalon © Luigino Snidero

 

L’uso di filtri GND permette di comprimere la gamma dinamica della scena, riducendo puntualmente la trasmissione della luce in funzione della propria densità di grigio, che può essere pari a 1, 2 e 3 e più diaframmi.
La densità di grigio dei filtri GND, a differenza degli ND, è concentrata  su circa metà del filtro e va sfumando fino a zero sull’altra metà, riducendo la trasmissione luminosa solo su una delimitata zona dell’inquadratura, decisa dal fotografo che dispone il filtro secondo la situazione che ha davanti ed aiutato dal formato rettangolare dello stesso (100x150mm). Detti filtri vanno utilizzati in una specifica montatura portafiltri (holder), che a sua volta va alloggiato su di un anello adattatore avvitato all’obiettivo.
I filtri GND, oltre che in varie gradazioni, esistono di 2 tipi: hard (linea di transizione piuttosto netta), adatti per soggetti con netta demarcazione tra i piani luminosi (paesaggi marini, per esempio) e soft (linea di transizione più sfumata), indicati per soggetti con demarcazione imprecisa tra i piani luminosi (paesaggi di montagna, per esempio).
E’ chiaro quindi che la scelta del posizionamento del (o dei) filtro(i) GND è fondamentale ed è necessario prestare molta attenzione alla linea di transizione. Tra l’altro, la sfumatura di demarcazione non è facilissima da percepire all’apertura massima del diaframma dell’obiettivo in uso e va controllata premendo il pulsante di controllo della profondità di campo e posizionando il filtro nella posizione più performante data la scena.

Il Sistema Lee è composto fondamentalmente da:
Anello adattatore

Anello adattatore

Anello adattatore

 

E’ preferibile ordinare il tipo wide, meno spesso, che elimina o quantomeno limita la vignettatura con i grandangoli spinti.

Holder (o portafiltri)

Holder (o portafiltri)

Holder (o portafiltri)

 

 

 

 

 

 

 

E’ modulabile e nella configurazione standard porta fino a 3 filtri. Con i Lee è utilizzabile anche il tipo Z della Cokin, mentre Singh Ray, pur producendo filtri delle medesime dimensioni, non produce un proprio holder.

Filtri GND

Filtri GND

Filtri GND

 

 

 

 

 

 

 

Per un effetto più marcato, si possono montare più filtri GND o abbinare ad un GND un ND (filtro interamente grigio neutro) per allungare il tempo di scatto.

Davanti al portafiltri è anche possibile abbinare un filtro polarizzatore, che deve essere di diametro 105mm per risultare compatibile con l’intero sistema senza vignettare.

 

filtro polarizzatore

filtro polarizzatore

 

 

 

 

 

 

 

Per poter montare il polarizzatore, è necessario aquistare a parte anche un ulteriore apposito anello adattatore.

anello adattatore

anello adattatore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’equipaggiamento minimo da comperare (per quanto soggettivo) potrebbe essere il seguente:

anello wide del diametro del filetto del nostro grandangolo preferito

anello wide

anello wide

 

 

 

 

 

 

 

holder Foundation kit (a 3 slot)

holder

holder

 

 

 

 

 

 

 

Filtro GND Soft 0.9 (3 stop: si presta bene per le riprese con rilievi sulla linea dell’orizzonte. Ottimo in montagna, ma anche al mare corregge la luminosità del cielo con la parte più scura e con la parte sfumata il riflesso conseguente sull’acqua)

Filtro GND Hard 0.9 (3 stop, va bene per scene marine lineari senza particolari riflessi o quando il sole non è particolarmente intenso)

Filtri GND

Filtri GND

 

 

 

 

 

 

 

Questo è il “minimo sindacale”, ma ovviamente il corredo dei filtri è ampliabile quasi a piacimento, per esempio le gradazioni 0.3 e 0.6 dei GND hard e soft tornano spesso utili quando il divario di luminosità è inferiore rispetto a quando serve lo 0.9. Oppure quando è superiore, aggiungendo allo 0.9 uno 0.3, per esempio.

Un altro acquisto importante è il polarizzatore da 105mm. Lee ne produce uno proprio, il migliore all’Heliopan, nella sua versione a polarizzazione circolare ed in montatura slim (costo di pochissimo superiore al Lee). Se decidete per questo acquisto, non dimenticatevi di aggiungere l’apposito anello che va montato davanti all’holder e sul quale avvitare il polarizzatore. Il polarizzatore toglie i riflessi, satura i colori e fa perdere circa 2 stop di luminosità.

polarizzatore da 105mm

polarizzatore da 105mm

 

 

 

 

 

 

 

Infine, Lee produce vari tipi di filtri 100×100 ND in resina o vetro da utilizzare con l’holder in questione.
Quelli che vanno per la maggiore ultimamente sono il Big stopper (da 10 stop), filtro non facilissimo da usare, soprattutto con tempi più lunghi di 2 minuti (per rumore digitale e cromatico indotti dal riscaldamento del sensore in determinate condizioni), ma sicuramente di grande effetto, ed il Little stopper, fratello da 6 stop, molto più agevole da utilizzare e meno prono alle dominanti blu.

Tutti questi filtri vanno poi utilizzati con creatività e sensibilità dal fotografo, secondo la sua vena creativa, magari montandoli a rovescio.

Dove comprare?
Sicuramente in Inghilterra, dove vengono prodotti i Lee e dove si trovano più facilmente. C’è più di un negozio online che ho sperimentato direttamente: si equivalgono tutti come affidabilità, occhio solo al prezzo migliore, considerando sempre che i tempi di consegna sono sempre piuttosto lunghi (6-8 settimane l’ultimo acquisto che ho fatto) e che qualcuno ha i prezzi IVA compresa, qualcuno l’aggiunge dopo.

Ecco i venditori che ho provato io:

Morco
Teamwork
Robert White

Oggi c’è finalmente anche qualche rivenditore italiano:
Fotocolombo
Attualfoto Trieste
DCS Italia

Tramonto a Skye © Luigino Snidero

Tramonto a Skye © Luigino Snidero

Marco “Lao” Zamò è stato l’ospite del numero zero di una rubrica online che abbiamo chiamato “Autofocus, incontri con l’autore”, e che è nelle nostre intenzioni far diventare un appuntamento fisso per i nostri ospiti.
Ci rivolgeremo alternativamente a fotografi del CFP o che non fanno parte del Circolo.

Marco Zamo'

Marco Zamo’

 

Di sé Marco dice: ”

Sono nato a Udine il 23 aprile 1964, appassionato di natura fin da piccolo grazie al nonno che mi faceva passare molto tempo nei prati e nei campi che coltivava. Mi sono appassionato di fotografia circa 6 anni fa quando girando per il web sono approdato nel forum del circolo palmarino. Da quel momento e grazie alla disponibilità di bravi fotografi,  mi sono dato da fare per migliorare la mia tecnica e riuscire a fare gli scatti che ho in mente e che ancora non ho ancora fatto .
Ho organizzato alcune mostre da solo o con altri fotografi del circolo per condividere le bellezze della Natura che ci circonda”.

 

Ecco l’intervista che Paolo Vercesi ha fatto a Marco:

 

Paolo: Ciao Marco, come andiamo?

Marco: Bene…

P.: Alcuni giorni fa hai inaugurato il tuo sito (complimenti, molto bello): www.laophoto.it… Sul forum sei lao1964, la tua mail è lao1964@… La domanda è: perché …1964

M.: (ride, ndr) …perché sono nato nel 1964

P.: Quando e qual è stata la scintilla che ha acceso la tua passione per la fotografia?

M.: Ho cominciato con una macchinetta piccola per le vacanze, poi sono entrato nel forum del CFP e mi sono aggregato ad un viaggio in Irlanda (mi hanno detto:basta che non rompi…). E da lì è partito tutto.

P.: La maggior parte delle immagini che ci proponi sono immagini naturalistiche e tra le immagini naturalistiche, molte sono avifaunistiche, e tra le immagini avifaunistiche molte, e molto belle, sono foto scattate al martin pescatore… da dove ti deriva questa dedizione a questa specie in particolare e come coniughi la passione della fotografia con la passione per la natura?

Alcedo Atthis © Marco Zamò

Alcedo Atthis © Marco Zamò

 

M.: Qualche anno fa sono stato accompagnato da alcuni amici fotografi a vedere il martino, Celestino come lo chiamo io, e mi ha subito affascinato per la sua bellezza e per la particolarità della sua vita.

P.: È nata prima la passione per la fotografia o quella per la natura?

M.: La natura , la amo da sempre…

P.: Quando ti capita di rimanere “imbambolato” davanti alla bellezza della natura?

M.: Le cose maestose, un temporale, l’oceano in tempesta, l’Islanda… Un panorama, l’alba in montagna… queste sono le cose che mi affascinano, oltre al martino, naturalmente.

P.: Molte delle immagini che hai realizzato negli ultimi tempi comportano allestimenti e tecniche particolari… Ci racconti qualcuno dei tuoi “segreti”?

M.: Durante la serata li racconterò tutti (e lo farà, ndr), ho deciso di condividere tutto.

Alcedo Atthis © Marco Zamò

Alcedo Atthis © Marco Zamò

 

P.: Qual è l’immagine che ti ha dato più soddisfazioni?

M.: Quando con il CFP siamo saliti sul Lagazuoi e mentre tutti stavano cenando, abbiamo deciso di uscire solo in due. C’era una bellissima stellata in cielo e l’ho ripresa: quella è una foto che ricordo molto volentieri, uno di quegli spettacoli della natura di cui si parlava prima.

Lagazuoi © Marco Zamò

Lagazuoi © Marco Zamò

P.: Qual è l’immagine che hai in testa di realizzare e non sei ancora riuscito a scattare come vorresti?

M.: Vorrei riprendere il martino in acqua da sotto e per sotto intendo proprio da sotto. Ci sto provando, ma non ci sono ancora riuscito.

P.: Un fotografo che ti piace e che ci vuoi consigliare?

M.: Piccirillo, Luigi Piccirillo, secondo me uno dei migliori fotografi naturalisti in Italia.

P.: Il tuo prossimo soggetto fotografico?

M.: Sto cercando di riprendere la poiana, ma non è facile. Anche il picchio muraiolo mi affascina tantissimo e mi piacerebbe poterlo fotografare bene.

P.: Parliamo di attrezzatura? Cosa c’è nella tua borsa di fotografo?

M.: Una Nikon D800 rotta, un polarizzatore spaccato… Anche la borsa è rotta (ride), è tutto rotto. Non ho molta cura dell’attrezzatura che uso: non comprate di seconda mano da me… è un hobby e va bene così.

P.: Che consiglio daresti a chi si avvicina oggi per la prima volta ad una macchina fotografica?

M.: Il forum del CFP per me è stato fondamentale, la sua gente, Romolo (Romolo Migotti, ndr), tutti quelli che criticano le foto in modo costruttivo e mi hanno spinto a migliorarmi ed a capire come correggermi.

P.: Grazie Marco, buona luce!

Paolo Vercesi intervista Marco "Lao" Zamò

Paolo Vercesi intervista Marco “Lao” Zamò

 

Il 15 febbraio, per il numero 1 di Autofocus sarà nostro ospite Felice Cirulli, mentre a marzo sarà nuovamente la volta di un autore del Circolo, Alex “Fotocesco” Laporta.

State sintonizzati!