Il 9 aprile, ospiti del Circolo Fotografico Palmarino e di Proloco Manzano, Jacqueline De Monte e Valentino Morgante ci hanno presentato, nella suggestiva cornice dell’Abbazia di Rosazzo, il loro splendido libro fotografico “Terra d’Africa”.

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Come al solito, i fotografi sono stati intervistati dal nostro Paolo Vercesi:

 

Jacqueline De Monte

Jacqueline De Monte

Valentino Morgante (e Daniele Marson)

Valentino Morgante (e l’editore Daniele Marson)

Paolo Vercesi

Paolo Vercesi

 

 

 

 

 

 

 

Paolo Vercesi: Buonasera Jacqueline, buonasera Valentino e buonasera Daniele (Daniele Marson editore ndr)

Da un po’ di tempo è nostra abitudine intervistare gli ospiti delle nostre serate, siete pronti?

 

Jacqueline De Monte: Siamo pronti!

 

PV: Incominciamo dalla prima domanda, una di quelle facili, siete entrambi di origini friulane ma Jacqueline è nata a Parigi mentre Valentino è nato in Malawi, come vi siete incontrati? Come si sono incrociate le vostre vite?

 

Valentino Morgante: A questa domanda preferisco lasciar rispondere Jacqueline…

 

JDM: Innanzitutto mio papà e mia mamma sono di Artegna, il papà e la mamma di Valentino sono di Tarcento e ci siamo incontrati a metà strada. Tra Tarcento e, diciamo, Artegna, durante una sua vacanza. Ci siamo accorti di avere qualcosa in comune, cioè guardare le montagne, ma arrivare con lo sguardo ben oltre le montagne. Lui mi affascinava con i suoi racconti, che per me erano incredibili… mi parlava dei leoni, che da ragazzino teneva un serpente nel taschino, di grandi foreste… per me, che vivevo a Tarcento, erano racconti molto coinvolgenti. È  da lì, tra un racconto e l’altro, che è nata la mia voglia di vedere l’Africa.

 

VM: Era una semplice strategia di conquista… (risate, ndr)

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Un momento dell’intervista

PV: La passione per la fotografia, invece, com’è nata?

 

VM: Beh, io ho sempre avuto la passione per la fotografia fin da bambino in Africa. Tutto è partito quando i miei genitori mi hanno regalato una piccola compatta a pellicola, si parla di davvero tanto tempo fa, e da lì, tra animali e paesaggi, mi sono appassionato. In particolare, della fotografia, mi affascina il movimento. Quando sono tornato in Italia ho collaborato con un’agenzia di Bologna che seguiva le automobili da corsa e ogni settimana ero in trasferta per fotografare le gare. Ma la passione vera era per la natura. E dopo un paio di viaggi assieme in Africa, ho coinvolto anche Jacqueline in questa passione.

 

PV: la decisione di trasferirvi in Africa com’è arrivata?

 

JDM: certamente per una donna staccarsi da tutte le sicurezze che può dare un paese come l’Italia, con una casa, i genitori, un lavoro… è difficile decidere e partire, ma Valentino aveva veramente un grandissimo mal d’Africa. Chiuso dentro il suo ufficio sembrava un leone che  girava in tondo nervoso e che sperava che la gabbia si aprisse. Solo io avevo la chiave. Ho aperto la gabbia e siamo partiti.

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Un momento dell’intervista

PV: quindi per voi l’Africa era più di un posto dove andare a lavorare.

 

VM: sì, è il posto dove ci piace vivere e dove vogliamo condividere il nostro stile di vita con le persone che vengono da noi. Questa è diventata la nostra missione.

 

PV: Raccontateci qualcosa di più del vostro lavoro. Siete guide certificate dell’NATH, Namibiam Academy for Tourism and Hospitality, come ci siete arrivati?

 

VM: come in tutte le professioni bisogna studiare ed imparare. Per ottenere una licenza occorre frequentare dei corsi, in questo caso dell’ente del turismo della Namibia. Flora, fauna, geologia, astronomia, tutto ciò che aiuta a conoscere l’ambiente… abbiamo imparato tante cose da poter condividere con gli altri. E continuiamo a seguire nuovi corsi per aggiornarci e per rinfrescare le conoscenze.

 

JDM: L’ultimo corso l’abbiamo fatto in Botswana, ed è stato uno dei corsi per guide naturalistiche più difficili in assoluto.

 

PV: Il vostro lavoro come si svolge?

 

VM: Abbiamo iniziato facendo da guida naturalistica per le varie agenzie, poi pian piano abbiamo iniziato ad organizzare da soli i nostri viaggi. Li organizziamo per piccoli gruppi, quindi sono viaggi personalizzati, per coppie, per appassionati di natura e fotografia. Noi organizziamo tutto il pacchetto ed in genere facciamo anche da guide e da accompagnatori.

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© De Monte Morgante

JDM: …cercando sempre di coinvolgere tutti con la nostra conoscenza e la nostra passione per quei posti. L’Africa non è solamente da vedere ma anche da conoscere. Infatti chi non ci va con una guida specializzata ed appassionata si ferma alla conchiglia, noi cerchiamo di far vedere la perla che c’è dentro la conchiglia. Questo è il nostro obiettivo.

 

PV: Prima ci parlavate di leoni, di serpenti e di situazioni che a noi sembrano pericolose. L’Africa è pericolosa o no?

 

VM: L’Africa è come una grande metropoli, prendiamo ad esempio Milano, ci sono zone pericolose, ma la maggior parte di Milano non è pericolosa, l’Africa è proprio così. Ci sono dei posti pericolosi e quello che vi succede viene amplificato dai media, ma ci sono comunque zone dell’Africa tranquille e sicure, come quelle dove ci troviamo e lavoriamo noi e dove troviamo sempre una serenità ed una tranquillità incredibili.

 

PV: Vi è capitata qualche avventura da raccontare?

 

VM: A novembre eravamo in Botswana, nel 2015 c’è stata una grandissima siccità nell’Africa australe, con una totale mancanza d’acqua. Ci trovavamo nella regione del Savuti, un’area dove gli anni prima c’era acqua e dove vivono gli ippopotami. Abbiamo trovato un ippopotamo molto disidratato vicino ad una pozza asciutta, edad un certo punto ci ha caricati di brutto. Sono riuscito appena in tempo ad inserire la marcia e partire, me lo sono trovato a 50cm. L’impatto sarebbe stato come uno sconto con un’automobile di 2 tonnellate.
Altre volte nei campeggi abbiamo avuto i leoni a farci “visita”, tante volte abbiamo visto le cariche degli elefanti. Con l’esperienza si impara a leggere e capire le situazioni, ed un tempo fuggivamo via molto prima.

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

JDM: …infatti l’ultima volta gli elefanti del Damaraland erano così vicini che un giovane di circa 12 anni ha “annusato” l’automobile e con la zanna ha spinto un pochino e la carrozzeria ne porta ancora i segni.

 

VM: In generale direi che non ci è mai successo di trovarci in situazioni di vero pericolo… forse l’unica volta in cui mi sono trovato in pericolo è facendo canoa nel fiume Zambesi in mezzo agli ippopotami. L’ippopotamo è l’animale che causa più morti in Africa, perché pur essendo un erbivoro è molto territoriale.

 

PV: Questa sera siamo qua per presentare il vostro libro che vanta una prefazione di Alberto Angela, paleontologo, divulgatore, scrittore, giornalista e conduttore di trasmissioni televisive, come nasce questa prefazione?

Un momento della serata

Un momento della serata

JDM: Ho accompagnato Alberto per la RAI per tre volte, e questo ci ha dato la possibilità di conoscerci. Alberto  ritiene che il viaggio che ha fatto con me in Namibia sia stato il suo più bello in Africa proprio perché sono riuscita a trasmettergli la conoscenza e la passione che ho per l’Africa e per la natura. Di conseguenza anche nel suo quarto viaggio, che ha voluto fare privatamente con famiglia e amici, ha voluto trasmettere ai figli le stesse emozioni che aveva provato. In qualche modo è stato come se Alberto Angela avesse avuto il desiderio di ricambiare quello che aveva ricevuto. Forse è stata lui la persona che più ci ha spinti a realizzare il libro, aveva visto queste fotografie e ci ha detto che meritavano di venire pubblicate.

 

PV: Questo libro raccoglie fotografie scattate nell’arco di ben 20 anni. Se non arrivava Alberto Angela avreste pubblicato lo stesso il libro, oppure avreste aspettato ancora un po’?

 

VM: Penso che i tempi fossero maturi, o adesso o mai più! Quando abbiamo cominciato a scattare, si utilizzavano ancora le diapositive ed ad un certo punto ci siamo fermati per diversi anni. Il digitale in qualche modo è stato la nostra salvezza e ci ha spinti a ritornare a fotografare.

 

(proiezione della multivisione "Terra d'Africa")

 

PV: Nella vostra multivisione “Terra d’Africa” quante foto analogiche avete usato?

 

VM: Sono molto poche le foto scansionate dalle diapositive, forse un 5%.

 

(pubblico): Qual è stata la foto più difficile che avete realizzato durante la vostra carriera di fotografi?

 

VM: La foto più difficile la dobbiamo ancora scattare, proprio perché è veramente difficile… il mio sogno è sempre quello di fotografare due grandi elefanti maschi in combattimento.

 

(pubblico): c’è una foto che vi ha fatto dire: “accidenti ce l’ho fatta!”

 

VM: Ci sono tante foto che che quando torni a casa e le riguardi ti fanno dire “WOW”!
La mia grande passione, come ormai avrete capito, sono gli elefanti ed i leoni. E credo siano proprio loro gli animali che mi hanno dato più soddisfazioni.

 

Daniele Marson: Forse la foto più diffile è quella che abbiamo raccontato anche nel libro…

 

VM: …sì, volevamo fotografare il passaggio degli elefanti da una prospettiva diversa. Quindi abbiamo deciso di piazzare una macchina fotografica nella zona di passaggio e di telecomandarla. Gli elefanti generalmente usano dei sentieri specifici, e così siamo riusciti a fare alcune foto con il telecomando, un paio abbastanza belle. Solo che ad un certo punto una famiglia di 6-7 elefanti ha visto la macchina fotografica e non gli è piaciuta… la matriarca l’ha puntata e le ha dato un calcio facendo volare via tutto quanto. È stato incredibile vedere una tale violenza ed aggressività verso una cosa così minuscolo al loro confronto. Forse hanno sentito l’odore, l’adrenalina dell’uomo o qualcosa sulla macchina e che solo loro possono sentire. Alla fine siamo comunque riusciti a recuperare la macchina e scaricare le foto. Aggiungo che abbiamo continuato ad usare quella stessa macchina per altri due anni!

 

JDM: …ma non l’obiettivo!

 

VM: La salvezza della macchina è stata l’obiettivo che si è staccato dalla macchina ed ha attratto gli elefanti. C’era tanto rumore e tanta polvere, è stata veramente una scena pazzesca.

 

(pubblico): Quel paesaggio desolati con quegli alberi secchi…

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

JDM: Gli alberi nel lago bianco sono nell’area “Dead Valley” detta anche “bacino morto”, si pensa che quegli alberi siano morti 700 anni fa, ma sono ancora in piedi.

 

VM: Sono di un legno molto duro e resistente.

 

JDM: Nel deserto ci sono pochissimi batteri e gli alberi non si decompongono.

 

(pubblico): Le foto non sono state fatte tutte dalla jeep?

 

VM: Quando siamo fuori da soli valutiamo sempre la situazione e talvolta ci piace scendere a livello del terreno, ma sempre mantenendo la distanza di sicurezza.

 

(pubblico): Il periodo migliore per venire in Namibia?

 

VM: Sicuramente da maggio a dicembre, ma non è detto che non sia bello anche il periodo delle piogge, ma è sicuramente più a rischio per la pioggia e gli animali si vedono un po’ di meno.

 

(pubblico): Dove avvengono le fioriture che abbiamo visto nel filmato?

 

VM: Quelle fioriture avvengono in una zona particolare del Sudafrica, a sud della Namibia, a nord-ovest di Città del Capo, particolarmente piovosa d’inverno, quindi in primavera ed in estate c’è questa famosa fioritura, chiamata fioritura del Namaqualand.

 

PV: In sala c’è un gran numero di fotografi, ci raccontate qualcosa di tecnico, cosa c’è nella vostra borsa, che strumenti usate, cosa non lasciate mai a casa.

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

VM: Abbiamo tre corpi macchina, non so se si può dire la marca, portiamo sempre un grandangolo 17-40, lo zoom 70-200/2.8, il nuovo 100-400 della …Canon (risate, ndr) …che funziona benissimo, poi il 300/2.8, mentre altri obiettivi più costosi, quando servono si possono trovare in affitto.

 

JDM: Poi non mancano mai il treppiede, il telecomando ed il timer per fare i timelapse che avete visto nella multivisione.

 

VM: Non si può fare a meno di un coprimacchina per tener fuori la polvere: dove viviamo noi in Namibia è pieno di polvere e bisogna sempre stare molto attenti in special modo durante il cambio obiettivi.

JDM: Basta un soffio di vento e viene fuori anche polvere che non vedi.

 

DM: Con la pulizia del sensore come fate?

 

VM: Portiamo via due o tre corpi macchina proprio per cercare di cambiare obiettivo il meno possibile. Poi quando veniamo in Italia oppure quando andiamo a Città del Capo ci sono dei centri che fanno la pulizia dei sensori. Ormai abbiamo imparato una buona tecnica e cambiamo obiettivo solamente quando ci sono delle scene veramente importanti o drammatiche ed il problema della polvere passa in secondo piano. Altrimenti cerchiamo di evitare di farlo.

 

PV: A parte l’attrezzatura fotografica cosa serve per venire a fotografare in Africa? Cosa bisogna portarsi da casa?

 

JDM: Il cuore. Il cuore aperto, non aspettarsi mai nulla, non darsi degli obiettivi, altrimenti c’è il rischio di rimanere delusi. È meglio essere aperti a quello che l’Africa e la natura ci regaleranno in quei momenti.

 

VM: Poi di base con una buona reflex e con una buona compatta si possono portare a casa dei buoni risultati: Poi di fatto si può utilizzare di tutto, dal grandangolo al 300mm.

 

(pubblico): In questi venti anni di fotografie immagino che i cambiamenti siano stati grandi come da noi. I paesaggi sono rimasti gli stessi o sono cambiati?

VM: Devo dire che certi posti sono rimasti sempre uguali, altri invece sono cambiati, soprattutto nelle zone più popolate. Ma dove ci sono gli animali e nei parchi i paesaggi non sono poi cambiati di tanto. Magari ci sono più visitatori, ma a parte quello il resto è rimasto inalterato, equesta è una grossa fortuna.

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

(pubblico): ci sono grossi problemi di bracconaggio anche in Namibia?

 

VM: La Namibia da questo punto di vista è fortunata perché la popolazione non è numerosa ed i controlli sono molto buoni, come del resto in Botswana, però purtroppo negli ultimi 5 anni anche in Namibia c’è stato un certo aumento del bracconaggio. In precedenza direi ceh era invece tutto sotto controllo

 

JDM: …quasi inesistente, poi si è scatenato a macchia d’olio

 

VM: Per fortuna sembra che ultimamente le cose stiano migliorando di nuovo.

 

JDM: Le autorità coinvolgono anche noi guide nel contrasto al bracconaggio.

 

(una bambina del pubblico): è difficile venire in Africa?

 

VM: Quando ci siamo trasferiti in Namibia, abbiamo portato nostra figlia di 12 anni che non sapeva una parola di inglese, ma si è trovata benissimo ed è rimasta in Africa. Se riesci a trovare il posto giusto, l’Africa è assolutamente avvincente.

 

JDM: Tutti quegli animali sono belli da vedere per i bambini. La Namibia ed il Botswana stanno orientando la loro ospitalità sempre più verso le famiglie perché vedono che i bambini rispondono molto bene al richiamo dei luoghi. è assolutamente un viaggio fattibile anche per i bambini. Abbiamo avuto nei nostri viaggi bambini dai 5 anni in su. Ci sono alcune aree del Botswana in cui raccomandano un’età superiore ai 10 anni, perché è un’area dove bisogna avere qualche attenzione in più.

 

PV: Facciamo un piccolo passo indietro… mi riaggancio all’introduzione di Gastone Piasentin (presidente della pro loco di Manzano, ndr): la fotografia può avere un ruolo, può aiutare a fermare la guerra e le altre distruzioni?

 

VM: Questa è la nostra speranza! La fotografia può documentare quanto è bello quello che rischiamo di perdere e quindi penso proprio di sì.

 

JDM: L’educazione alla conoscenza è la soluzione a tutti i problemi, dal bracconaggio alla conservazione in tutti i sensi e di tutto il pianeta.

 

PV: Abbiamo visto nelle vostre immagini tanti luoghi, tanti paesaggi e tanti animali. Se una persona potesse andare in Africa una sola volta nella vita, che itinerario suggerireste?

 

JDM: è impossibile rispondere, è come chiedere cosa visitare in Italia… in Africa dove le distanze sono molto più grandi, non sarebbe possibile visitare i gorilla, le dune di Sossusvalley e le cascate Vittoria in una volta sola.

 

VM: Suggerirei comunque di visitare la Namibia per prima.

 

(pubblico): Con che veicoli vi muovete?

 

VM: In Namibia ci si muove anche con dei pulmini o con dei 4×4 con doppio serbatoio e doppia ruota di scorta. Però, a parte certe zone montane, in Namibia è possibile muoversi anche senza 4×4. In Botswana, invece, è assolutamente indispensabile il 4×4.

 

(pubblico): Come mai tra quelle che abbiamo visto non avete inserito le bellissime foto della popolazione degli Himba?

© De Monte Morgante

© De Monte Morgante

VM: Perché abbiamo scelto di mantenerci sulla natura, magari la prossima volta…

 

(pubblico): Guardando la copertina di libro, l’Africa mi sembra un cuore, lei come descriverebbe il suo mal d’Africa.

 

JDM: Il mio mal d’Africa è molto particolare e credo interessante. Durante i miei primi anni in Africa non “soffrivo” assolutamente il mal d’Africa. Anzi ho trovato talmente dura la vita dell’emigrante, con molti lati negativi e pochi positivi, che all’inizio il mal d’Africa non ce l’avevo proprio. Un giorno però ho rischiato di non poterci andare più ed è stato in quel momento che ho capito che l’Africa mi mancava. E questo è accaduto solo dopo una decina d’anni che vivevo in Africa.

 

(pubblico): I tour che proponete hanno base fissa o proponete degli spostamenti lungo degli itinerari.

VM: Molte volte ci si ferma in strutture o lodge, ma in un tour di 14 giorni si fanno anche 4000Km e in zone remote dove non ci sono strutture si allestiscono i campi tendati.

 

(pubblico): Chi fa da mangiare, in quelle situazioni?

 

VM: Mi! (risate, ndr) …è bellissimo fare il fuoco nel campo, e quando non sono recintati ci sono scimmie, sciacalli, iene, leoni, elefanti e bisogna tenere tutto il cibo fuori dalla tenda. Ho visto filmati di elefanti in Botswana che hanno distrutto una tenda alla ricerca di mele e arance.

 

(pubblico): Siete armati?

 

VM: No, assolutamente no, siamo armati solo del nostro animo.

 

JDM: Diciamo che quello che conta è la nostra l’esperienza: dopo tanti anni si riesce a percepire quali sono le distanze a cui tenersi dagli animali e si rimane a distanza di sicurezza per sé stessi e per gli animali.

 

PV: Quando tornate in Friuli portate solo le fotografie o anche le macchine fotografiche?

 

VM: Purtroppo solo le fotografie per questioni di spazio.

 

JDM: Quando torniamo in Africa sentiamo una grande mancanza del cibo friuliano e italiano, lo spazio di una macchina fotografia lo destiniamo ad un po’ di cibo, formaggio e salami.

 

PV: Quindi al campo si mangia il frico?

 

JDM: Può capitare che lo facciamo perfino con il ceddar (risate, ndr).

 

PV: Qualche progetto fotografico per il futuro?

 

VM: Di progetti ne abbiamo e vanno tutti avanti, ma nulla ancora di definito. Ci piacerebbe fare altre multivisioni ed una mostra con stampe di una certa dimensione.

 

JDM: Una fotografia in grande formato permette veramente di catapultarcisi dentro.

 

PV: Siamo purtroppo giunti a conclusione della serata…

 

JDM: Ringraziamo tutti voi singolarmente per essere stati presenti a questa serata e spero che siamo riusciti a regalarvi una parte di noi… (grandi applausi, ndr)

 

Il pubblico in sala

Il pubblico in sala

 

 

Terra d'Africa, Edizioni Marson

Terra d’Africa, Edizioni Marson

Alcune immagini di backstage dell'evento:
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Daniele Marson e Daniele Favret

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Paolone Vercesi alle prese con le domande dell’intervista

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Stefano Rossi e Marco Manzini

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Marco, Paolo, Danilo, Daniele e Ranieri

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Daniele, Marco e Stefano

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Daniele, Mauro, Luca, Federico e (seminascosto) Andrea

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Alvaro, Danilo, Ranieri, Ezio, Mary (seminascosta), Roberto, Paolo e Marco

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Jacqueline e Valentino firmano i libri

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Il Presidente della Proloco, Gastone Piasentin

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Il Vicesindaco di Manzano, Lucio Zamò

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Daniele Marson, concentratissimo

 

Il 20 Febbraio 2016, il CFP ha presentato in Abbazia di Rosazzo e con la collaborazione di Proloco Manzano, lo splendido libro “Carnia scrigno di emozioni” con immagini di Gabriele Bano e Paolo da Pozzo, prefazione di Dante Spinotti e multivisione di presentazione di Diana Crestan, Daniele Marson Editore.

Paolo da Pozzo e Gabriele Bano © Bano e Da Pozzo "Carnia scrigno di emozioni"

Paolo da Pozzo e Gabriele Bano © Bano e Da Pozzo “Carnia scrigno di emozioni”

“Carnia scrigno di emozioni” è uno splendido e raffinato volume fotografico indirizzato alla conoscenza del territorio carnico ed a chi ama la buona fotografia in genere, con immagini che rappresentano benissimo “un ambiente unico che nelle sue vallate racchiude una natura ancora integra dove ambienti caratterizzati da torrenti, prati, boschi e vette si susseguono, suscitando a chi in punta di piedi ha la sensibilità di saper vedere e ascoltare, emozioni che rimangono nel cuore. Le stagioni ed i colori, sapientemente ritratti dai fotografi che nella Carnia hanno la loro terra nativa, si alternano nelle valli esaltando questo scrigno di bellezze naturali”.

Il pubblico in sala

Il pubblico in sala

 

Il nostro Paolo Vercesi ha intervistato i due bravissimi fotografi:

Paolo Da Pozzo e Gabriele Bano alla presentazione di "Carnia scrigno di emozioni"

Paolo Da Pozzo e Gabriele Bano alla presentazione di “Carnia scrigno di emozioni”

 

Paolo Vercesi: Com’è nata la vostra passione per la fotografia?

Gabriele Bano: La mia passione per la fotografia naturalistica nasce dalla passione per la natura. Nasco come naturalista autodidatta. Prima, come tutti noi in Carnia, con il nonno cacciatore in giro per i boschi, con la nonna a fare fieno sui prati. Già all’epoca andavo alla ricerca della farfalla, del bruco, specialmente degli uccelli. Poi piano piano è nata la voglia di documentare quello che vedevo, di studiare quello che vedevo: da lì è nata la mia passione per la fotografia. Successivamente sono entrato a far parte dell’AFNI, Associazione Fotografi Naturalisti Italiani, all’epoca capitanata da Daniele Marson (e oggi siamo nuovamente insieme qui 20 anni dopo a presentare questo progetto). Poi è arrivata l’amicizia con Paolo con il quale, pur essendo del mio stesso paese, ci siamo conosciuti solo molto tempo più avanti.

Paolo Da Pozzo: Per quanto mi riguarda la mia esperienza è molto simile. Fin da piccolo andavo con mio padre a caccia, e la Carnia è ricca di cacciatori, fin da piccolo ho scoperto il fascino della natura, quello di alzarsi molto presto al mattino, di vedere le prime luci, le albe, le nebbioline. Andando a caccia con mio papà ho potuto apprezzare tutte queste cose. Portavo con me la mia macchina fotografica, che era poco più che un giocattolo all’epoca. Ho coltivato a lungo questa passione, concentrandomi sulla fotografia naturalistica, di animali e di paesaggio, poi sono entrato a far parte dell’AFNI, dove ho conosciuto tante persone che condividevano la mia stessa passione e già 5 anni fa con Gabriele e con Luciano Gaudenzio abbiamo pubblicato un libro sul nostro territorio, sulla Carnia. Infine abbiamo avuto la fortuna di trovare un editore che ha creduto in un nuovo progetto sulla Carnia e dopo 4 anni a raccogliere immagini abbiamo finalmente partorito questo nuovo libro.

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

 

Paolo V: Nonostante siate bravissimi, non siete fotografi a tempo pieno: nella vita cosa fate?

Paolo DP: Io ho un’attività commerciale a Tolmezzo, alla sua terza generazione, e quella è la mia attività prevalente. Poi chiaramente la fotografia è qualcosa che va al di là della passione perché ti impegna tutto il tempo libero.

Gabriele B: Io sono un libero professionista, faccio l’avvocato a Tolmezzo. Anche per me la fotografia è solo una passione. Io mi definisco un fotoamatore evoluto, vendo i miei libri ai miei amici e quindi… (ride)

Paolo V: I fotografi spesso sono considerati “animali solitari”, mentre voi collaborate già da alcuni anni e avete già realizzato assieme un altro libro: come nasce e come si mantiene un simile sodalizio?

Gabriele B: Nasce tutto dalla passione. È vero che il fotografo naturalista tende ad essere più solitario perché per certi tipi di fotografia è opportuno essere in un numero dispari inferiore a 3, per non recare disturbo, perché quando sei insieme ad altri comunque chiacchieri ed aumenti la possibilità di spaventare gli animali, però io preferisco uscire in compagnia. Con Paolo usciamo assieme da una decina di anni e ci unisce la passione, l’amore per la fotografia e la natura. È un’amicizia che è sopravvissuta alla realizzazione del primo libro, che ha comportato anche degli effetti economici, e nonostante questo l’amicizia è rimasta inalterata, anzi è aumentata e ci ha portati verso un ulteriore progetto. Credo sia questo il leitmotiv della nostra amicizia: la passione vera e l’amicizia vera, profonda.

Paolo DP: Condivido. Il bello di condividere un progetto è quello che ci si confronta continuamente, si fanno uscite insieme, si porta avanti tutta la progettualità del prima e del dopo del libro… Non nascondo che anche fare delle uscite in solitaria ti dà una gratificazione personale importante, perché hai modo di fare dell’introspezione mentre cammini da solo, mentre raggiungi un certo obiettivo, una certa meta. Quindi c’è un aspetto positivo per entrambe le situazioni.

Gabriele B: Non dimentichiamo però che anche che quando andiamo da soli c’è sempre la condivisione immediata di quello che abbiamo portato a casa.

Paolo DP: Infatti noi abbiamo un nostro modo per comunicare. Per esempio quando portiamo a casa la fotografia di un animale particolarmente elusivo, ci scriviamo “in saccoccia abbiamo la foto del forcello piuttosto che del cedrone”… è proprio un modo per dire che abbiamo conquistato insieme un certo risultato.

© Bano e Da Pozzo Le ultime luci calano sul Monte Bivera Sauris Carnia

© Bano e Da Pozzo Le ultime luci calano sul Monte Bivera Sauris Carnia

 

Paolo V: In questo libro quante foto avete fatto assieme?

Gabriele B: Forse tutte… Non lo so, dovremmo sfogliare il libro. Diciamo che sono state pensate tutte insieme. Proprio quello che diceva prima Paolo: il bello sta anche nella progettualità: trovarsi, cartina Tabacco alla mano, vedere quello che ci mancava a livello paesaggistico, studiare chi ci andava e quando andarci. Lo stesso per quanto riguarda fiori, piante, animali. La progettualità delle foto è stata sempre pensata da entrambi. Alla fine ci eravamo ripromessi, anche con Daniele, di utilizzare 100/110 foto per il libro, cercando di bilanciare con una cinquantina a testa, 10 su, 10 giù, non avrebbe avuto importanza. Alla fine invece, senza volerlo, eravamo esattamente al 50% a testa.

Paolo V: “Carnia scrigno di emozioni” sta avendo un grande successo. Avete venduto oltre 1500 copie: questo cosa significa per voi?

Paolo DP: Significa una soddisfazione personale, indubbiamente, ma anche la consapevolezza che riusciamo probabilmente a far prendere coscienza della bellezza di un territorio che ci è così vicino. Per noi la più grande soddisfazione quando facciamo queste serate, e magari le facciamo proprio in Carnia, è che dei conterranei ci dicano “non credevamo di avere cose così belle sulla porta di casa”. Questa è la cosa che ci gratifica di più.

Paolo V: La prossima sfida da fare assieme?

Gabriele B: Carnia 3.0 (ride)

Paolo V: Il posto più bello che avete visitato in Carnia?

Gabriele B: Questa domanda avrei dovuto leggerla prima, così mi preparavo… (ride)

Paolo DP: Per quanto mi riguarda, la discesa della forra del Lumiei, che è stata un’esperienza particolare, piuttosto avventurosa: ho dovuto farmi accompagnare da una guida, con calate con le corde, con la muta da subacqueo, tutta l’attrezzatura dentro a barilotti a tenuta d’acqua… è stata una cosa piuttosto impegnativa, ma ne valeva la pena, perché è un ambiente estremamente severo, ma anche estremamente particolare, che nessuno immagina possa trovarsi nella nostra terra.

Gabriele B: Per quanto mi riguarda, è difficile dire quale sia il posto più bello. Tutta la zona di Sauris, tutta la zona di Paularo, probabilmente. Per completare il discorso di Paolo da un punto di vista non solo paesaggistico, quelle che mi hanno dato più gioia sono state la foto del gallo forcello: un target che va molto seguito anche dal punto di vista della preparazione naturalistica: studiare la specie, l’etologia della specie, cercarlo e cercare di farlo in ambienti particolari. Vedrete poi delle foto con la neve, altre senza… tutto questo è stato per me molto gratificante.

© Bano e Da Pozzo "Carnia scrigno di emozioni"

© Bano e Da Pozzo “Carnia scrigno di emozioni”

 

Paolo V: La sala stasera è piena di fotografi: avete un posto da consigliare?

Gabriele B: I punti più facilmente raggiungibili e che possono dare quasi immediatamente dei risultati, pur non conoscendo i luoghi, sono forse tutto l’anello delle malghe di Sauris e la Val Pesarina. Sono i luoghi più facilmente raggiungibili e che possono dare più facilmente soddisfazioni anche se non conosci quel territorio.

Paolo DP: Condivido e aggiungo che sicuramente una delle esperienza più belle per un fotografo paesaggista è quella di andare ai primi di luglio, magari partendo da Lateis, che è una piccola frazione sopra Sauris, fare la via delle malghe, la panoramica alta e lì si trova ad un certo punto una malga che si chiama Pieltinis, che a luglio diventa letteralmente tutta rossa di rododendri: a livello di arco alpino una situazione del genere non si vede facilmente, non si riesce proprio a camminare se non calpestando i rododendri. È proprio uno spettacolo.

Paolo V: Per questa serata avete deciso di presentarvi anche utilizzando la multivisione per voi preparata da Diana Crestan: cosa ne pensate di questa forma di espressione della fotografia?

Gabriele B: è un’espressione d’arte. Noi questa sera proporremo anche 4 o 5 slideshow, cioè immagini musicate e poi passeremo la parola alla professionista e forse ci spiegherà lei la differenza tra un semplice audiovisivo e una multivisione in cui oltre alla fotografia ed alla musica si aggiunge anche qualcos’altro.

Paolo DP: Prima che Diana realizzasse la sua multivisione, con Gabriele ci siamo confrontati, cercando di capire cosa a noi piacesse di più in termini legati forse ad una fotografia più tradizionale, la classica proiezione in dissolvenza. Quindi musica ed immagini “pulite”, senza effetti speciali, dissolvenze strane, sovrapposizioni… Questo è quello che noi preferivamo. Poi io so che la multivisione è molto di più…

Paolo V: In assoluto, qual è la foto che vi ha dato più soddisfazioni?

Gabriele B: La foto che mi ha dato più soddisfazioni è stata quella premiata ad un concorso internazionale in Germania nel 2007. Era ancora una foto su pellicola 6×4,5 Velvia, una foto del torrente Arzino in autunno. Sono innamorato del Torrente Arzino in tutte le stagioni, ma particolarmente in autunno, e tutti i fotografi che sono qui sicuramente lo conoscono, però il fatto di essere premiato ad un prestigioso concorso internazionale per la prima volta con la foto del “tuo cuore” è stata veramente una soddisfazione enorme, tanto che Paolo mi ha accompagnato alla premiazione, sobbarcandosi un migliaio di chilometri buoni… Però ne valeva assolutamente la pena: portare il tuo territorio al di fuori dei tuoi confini non ha prezzo!

Paolo DP: Per quanto mi riguarda, è difficile dire qual è la tua foto che ti emoziona di più… Forse quella che dopo vedrete e che apre la proiezione dei galli forcelli, che rappresenta un gallo che canta sotto una grande nevicata. È quello che ci sta prima che crea il ricordo, che crea un’emozione… eravamo saliti il giorno prima a mettere i nostri capanni con una situazione primaverile, quindi assolutamente tranquillissima, con i crochi sui prati. Siamo poi scesi la sera a dormire al rifugio e quando ci siamo svegliati abbiamo sentito quello che io chiamo il “rumore del silenzio” tipico di mentre sta nevicando. Avevamo i nostri capannini in quota e ci siamo chiesti “cosa facciamo?” perché non sapevamo se trovavamo i galli o meno. Siamo comunque saliti, i capannini erano diventati dei piccoli igloo perché erano completamente sommersi dalla neve. Ci siamo entrati e con nostra grande sorpresa si è verificata questa bellissima situazione dei galli che, mentre nevicava, sono apparsi comunque e sono riuscito a realizzare questa foto con il groppone del gallo tutto imperlato di neve ghiacciata mentre sta nevicando. Questo è uno dei ricordi più belli, delle emozioni più belle che ho.

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

© Bano e Da Pozzo (Carnia scrigno di emozioni)

 

Paolo V: Un fotografo che vi ispira?

Gabriele B: Dico prima io così Paolo non me lo ruba… rispondo in 2 step. All’epoca della pellicola, 15 anni fa, sicuramente Hannu Hautala, attualmente ce n’è tanti, ma forse quello in cui mi rispecchio di più è il fotografo francese Vincent Munier: un fotografo molto di atmosfera, animali ambientati, montagna, Nord, neve. Mi ci vedo molto. Molto lontano, eh? (ride)

Paolo DP: Per quanto mi riguarda, non so se lo conoscete, Bruno D’amicis, perché è un grande fotografo, ma soprattutto perché è una persona che ha una passione enorme per la natura. Quando lui porta avanti un progetto, lo porta avanti in un modo totale, con una dedizione completa. Lui è stato capace di vivere 3 mesi a fianco dei lupi in totale solitudine per riuscire a fare delle foto che magari non tutte sono fantastiche da un punto di vista prettamente fotografico, ma che danno veramente il senso di come è riuscito ad integrarsi con la natura ed a creare una simbiosi unica.

Paolo V: Che cosa non lasciate mai a casa?

Gabriele B: La macchina fotografica (ride)

Paolo DP: Il cavalletto, tra tutti gli accessori, se si può definire accessorio, è fondamentale perché permette una fotografia molto più riflessiva, molto più posata anche nell’epoca del digitale: Oggi hai la tentazione di scattare tanto e più di quel che serve. Il cavalletto ti permette di curare molto la composizione, l’inquadratura, di curare lo scatto in maniera più riflessiva

Paolo V: Paolo, Gabriele, grazie. Non resta che scoprire cosa c’è dentro lo scrigno!